La Fed deve ripristinare il livello di neutralità dei tassi reali tagliando quelli nominali di almeno mezzo punto. Ma il mercato si attende almeno il doppio.
Il contesto attuale è caratterizzato da una perdurante debolezza delle economie globali cui fa da contraltare una Fed sempre più accomodante, supportata dall’assenza dell’inflazione. Pictet AM conferma la sua posizione un po’ più costruttiva rispetto ai timori di recessione manifestati dal mercato che non appaiono del tutto suffragati dai fondamentali. Tuttavia, un rischio da monitorare è quello di una eventuale compressione degli utili aziendali che potrebbe seguire alla ripresa dei salari reali qualora la produttività smettesse di crescere a un ritmo superiore rispetto a questi ultimi. In generale, il ciclo pare avere ancora potenzialità da esprimere. Sul fronte della strategia, a dominare le scelte è il legame di azione e reazione tra mercato, Fed e Trump. Il posizionamento attuale prevede di sottopesare l’obbligazionario che in questa fase si è fatto carico di assorbire quasi interamente gli choc sistemici, mentre l’equity ha mostrato una certa resilienza.
La percezione del rischio
A dominare la prima parte del 2019 è stato il modo in cui il mercato ha percepito – e integrato nei prezzi – il rischio: dall’errore di policy della Fed, che ha dominato il 2018, fino alla recrudescenza, lo scorso maggio, delle ostilità sul commercio internazionale. Va notato che l’ultimo di questi choc è stato assorbito con grande disinvoltura dal mercato che, dopo un crollo repentino, è tornato alla normalità in maniera quasi automatica: un movimento che è spiegato dalla dinamica circolare di azione e reazione che lega mercato, Fed e Trump ma che, se oggi si è dimostrata salvifica, potrebbe non esserlo indefinitamente. Nel contesto attuale, le intemperanze di Trump, sembrano capaci di indurre la Fed ad allentare le condizioni monetarie al peggiorare delle aspettative.
Quadro macro globale in peggioramento
Per quanto attiene alla congiuntura globale, gli indicatori macro segnalano un andamento negativo (basati su una quarantina di Paesi), con un contributo peggiore del mondo industrializzato e meno pesante degli emergenti. Tuttavia, questo andamento non conduce necessariamente a una recessione: alla base di questo parziale ottimismo ci sono principalmente tre fattori.
• Politica fiscale cinese. Mentre la politica monetaria procede al rallentatore, da inizio anno, la Cina ha avviato in maniera decisa quella fiscale. Sul tavolo ci sono misure che dovrebbero avere un impatto equivalente all’1,6% sul Pil, di cui quelle attive corrispondono a un valore dell’1%. Anche in questo caso riteniamo che l’atteggiamento sia condizionale: Xi Jinping spingerà sull’acceleratore, se necessario.
• Andamento del mercato del lavoro USA. Nella situazione americana attuale, la crescita dei salari è un viatico favorevole alla longevità del ciclo: ciò che invece dovrebbe preoccupare è la potenziale compressione dei profitti aziendali. Salari reali in aumento mentre l’inflazione resta ferma potrebbe risolversi in una redistribuzione del reddito a favore dei salari e, dunque, andare a detrimento delle valutazioni azionarie. Tuttavia, negli ultimi trimestri la produttività ha segnato una crescita superiore a quella dei salari reali e questo indica stabilità nella distribuzione delle risorse e, dunque, la sostenibilità delle valutazioni azionarie.
• Politica monetaria accomodante. Mentre la disoccupazione mostra livelli di pieno impiego, l’inflazione continua a essere la grande assente di quello che, a giugno, è diventato il ciclo più lungo della storia, con una durata superiore ai dieci anni. Una questione che rappresenta il mistero non più ignorabile dalla Fed. Lo stesso Powell, rispondendo al Congresso, ha di recente affermato che “forse l’inflazione non è solo temporaneamente cedente”. Idea che supporta la politica monetaria sempre più easy della Fed, che guida tutto il movimento delle principali banche centrali.
Il New Normal
In definitiva, il ciclo americano continua a godere di buona salute, così come le valutazioni delle imprese. Tuttavia, la curva dei rendimenti si è appiattita – condizione che in passato faceva presagire a 15-18 mesi una fase recessiva e che oggi potrebbe avere un significato differente. Infatti, l’analisi degli indicatori macro di Pictet AM, che si basano su 30 fattori economici diversi – tra cui anche la curva dei rendimenti – mostra un piccolo innalzamento della probabilità di recessione, ma distante dalla soglia critica che dovrebbe far scattare l’allarme. Non siamo dunque in un periodo di recessione, ma in un periodo di transizione verso un regime nuovo di inflazione di livello molto basso che dovremmo considerare il New Normal.
Con la conclusione a settembre del QT, il balance sheet della Fed si fermerà a 3,7 trilioni di dollari, rispetto ai 3 trilioni attesi. Anche sul fronte dei tassi, la banca centrale Usa ha annunciato una inversione di tendenza, ipotizzando un taglio. Taglio che peraltro si rende necessario per ripristinare il livello di neutralità dei tassi reali che, da aprile, sono stati spinti al rialzo dall’inflazione Pce core scesa nuovamente all’1,6%. Il gap da chiudere è di circa mezzo punto percentuale che, però, è solo la metà di ciò che si aspetta il mercato entro il 2020. Dunque, con ogni probabilità la Fed ridurrà i tassi di (almeno) mezzo punto non in un’unica mossa, per non spaventare il mercato e per non esaurire in un solo colpo tutto lo spazio a disposizione. Il punto centrale della questione è che il mercato incorpora una parte di correzione che non è giustificata dai fondamentali – a meno che non si finisca davvero in recessione.
La strategia di investimento: sottopeso sui bond, con qualche scommessa
Come accennato all’inizio, la dinamica del mercato nel 2019 è stata influenzata da fattori finanziari e non fondamentali. Tfedutto è dipeso da quello che ha fatto la Fed e da come il mercato lo ha interpretato. A fare da cuscinetto allo choc finanziario generato dalla trade war sono stati i bond, i cui rendimenti da inizio maggio sono diminuiti dello 0.6%, mentre l’azionario è rimasto sostanzialmente fermo sui massimi. Tuttavia, se in questo momento i bond sono prezzati per una recessione e l’equity incorpora solo un rallentamento, la conseguenza logica è stare sottopesati sull’obbligazionario.
Questa è la strategia che stiamo seguendo con qualche accorgimento: una parte dell’esposizione obbligazionaria è espressa attraverso Treasuries americani indicizzati all’inflazione che offrono esposizione (seppur più contenuta rispetto alle obbligazioni nominali) alla discesa dei rendimenti, ma con minor rischio nello scenario di una correzione del mercato a reddito fisso; nel contempo il sottopeso sulla durata finanziaria complessiva è, in parte, mitigato da una posizione a steepening sul tratto fra 5 e 30 anni della curva dei rendimenti americana, strategia che trarrebbe beneficio da una Fed più accomodante rispetto a quanto da noi preventivato.
Commento a cura di Andrea Delitala, Head of investment advisory di Pictet Asset Management