Biotech: chi scoprirà la molecola che fa diventare ricchi?

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biotech

Le aziende biotecnologiche quasi sempre non sono redditizie e molte non hanno entrate reali, ma se hanno successo, le ricompense possono essere enormi

Articolo tratto dal numero gennaio/febbraio di Asset Management.

Abiotico, anatomico, selezione artificiale, assimilabile, biochimica, geotropismo, biologia molecolare, terapia genica o genetica. E ancora: geotropismo, simbiosi, nanotecnologie, traslocazione, bioingegneria, ingegneria genetica, genomica. Per non parlare di immunologia, bioscienza, bioinformatica, neuroscienza, embriologia, biosintesi, ingegneria biomedica. Queste e molte altre parole simili sono sconosciute ai più, ma alcune di esse (svariate, davvero) sono diventate (ben più) note a partire dalla fine dello scorso secolo e dall’inizio di questo. Il perché, a sua volta, si può ricondurre a un’unica parola, che chiunque fosse attivo sui mercati finanziari in quell’epoca certamente si ricorda: biotech. Il settore oggi è uno dei cardini delle economie sviluppate. Le società quotate che vi fanno capo sono presenti sui principali mercati mondiali, e annoverano giganti del calibro di Genzyme, una tra le più famose del settore, di proprietà e assorbita, dal 2011, da Sanofi, uno dei giganti farmaceutici svizzeri. Ma ben altre realtà sono presenti sui mercati mondiali, come Amgen, Gilead Sciences, Vertex Pharmaceuticals, Illumina, Biogen, Regeneron Pharmaceuticals, Alexion Pharmaceuticals, Seattle Genetics, Incyte, Biomarin Pharmaceutical, Teva Pharmaceuticals.

MANEGGIARE CON CURA
Il biotech è uno degli angoli più strani, più spaventosi, più sexy e più interessanti del mercato azionario. In quanti altri settori industriali le aziende si sforzano letteralmente di salvare vite umane? Qualsiasi industria può ospitare un’azione che potrebbe potenzialmente raddoppiare, ma quale altra industria può eguagliare la biotecnologia nel puro numero di azioni che potrebbero raddoppiare se i piani delle loro aziende vengono tutti realizzati? D’altra parte, in quanti altri settori industriali le aziende bruciano centinaia di milioni di dollari, spesso senza nulla da mostrare? Quante altre si affidano a misteri scientifici che possono sfidare anche dottorati di ricerca altamente qualificati? E quante hanno un’etichetta di avvertimento che recita: «Attenzione: una cattiva selezione delle azioni può costare il 90% del vostro investimento iniziale»? Per tutte queste ragioni e non solo, il biotech è un settore affascinante da esplorare per gli investitori. In poche parole, la biotecnologia è un’industria che si concentra sullo sviluppo di nuovi farmaci e sulla ricerca clinica finalizzata alla cura delle malattie e delle condizioni mediche. Le aziende biotecnologiche sono quasi sempre non redditizie (alcuni suggeriscono che la distinzione tra aziende biotecnologiche e farmaceutiche stia nella redditività), e molte non hanno entrate reali. La biotecnologia è anche caratterizzata da lunghi tempi di sviluppo; possono essere necessari fino a un decennio per ottenere un nuovo farmaco dalla provetta allo scaffale della farmacia. Inoltre, c’è una probabilità schiacciante di fallimento, poiché l’85-95% di tutti i futuri nuovi farmaci non riescono a ottenere l’approvazione. Tuttavia, per coloro che hanno successo, le ricompense possono essere enormi e i “doppi giornalieri” in Borsa non sono sconosciuti. Venendo alla differenza tra il settore tradizionale della ricerca farmaceutica, e questo innovativo, c’è più di una piccola area grigia tra ciò che è biotecnologia e ciò che è farmaceutico. Tuttavia, gli investitori dovrebbero tenere a mente alcuni punti generali. Da un punto di vista filosofico, la biotecnologia è un’impresa a rischio, mentre quella farmaceutica si occupa di gestire e diversificare il rischio. Poiché la maggior parte delle biotecnologie ha entrate insignificanti, per non parlare di un eventuale reddito, i dividendi sono eccezionalmente rari. Al contrario, possono rappresentare una parte significativa del rendimento atteso da uno stock farmaceutico. Molte aziende biotech non hanno la pretesa di commercializzare i propri farmaci, in quanto vedono le loro competenze esclusivamente nel settore della ricerca e sviluppo (r&d). In confronto, il marketing e le vendite sono il principale punto di forza di molte grandi aziende farmaceutiche. Mentre sempre più aziende farmaceutiche licenziano gli scienziati e si ritirano dalla ricerca di base, diventano sempre più macchine di marketing di massa che necessitano di un afflusso di nuovi prodotti dal mondo biotecnologico. Forse il più famoso ente regolatorio mondiale del settore è l’Fda americana (la Food and drug administration), viste anche le dimensioni del mercato Usa e l’importanza delle aziende coinvoltevi. In Italia opera l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). Istituti come questi richiedono che tutte le aziende stabiliscano (con loro soddisfazione) che un potenziale nuovo farmaco è sicuro ed efficace per il suo scopo dichiarato. Gli investitori devono comprendere il processo e i requisiti degli enti di controllo che sovrintendo alle società in cui vogliono investire. Al fine di ottenere le loro approvazioni, le aziende biotecnologiche devono stabilire, in un insieme sufficiente di informazioni, che il farmaco è sicuro ed efficace. Ciò avviene generalmente attraverso una serie di studi clinici, variabili da ente a ente e, quindi, da nazione a nazione. Se questi studi soddisfano gli obiettivi di sicurezza ed efficacia (sono in genere realizzati in consultazione con l’ente preposto), l’azienda presenterà una richiesta formale di approvazione. A questa seguiranno uno scrupoloso esame e una decisione finale, che spesso significa “vita o morte” per un’azienda biotech, soprattutto se è una startup. Gli investitori biotecnologici, inoltre, non possono trascurare l’importanza di comprendere lo “stato d’animo” dell’ente regolatorio in qualsiasi momento. Quando uno di essi è in una posizione conservatrice, la sicurezza e la pulizia dei dati diventa fondamentale, e i farmaci equivoci sono spesso respinti. Quando l’ente assume una posizione più liberale, alcune di queste regole non sono applicate in modo così rigoroso, e i farmaci con un profilo rischio-beneficio un po’ più al limite spesso arrivano sul mercato, in particolare quelli destinati a malattie con poche altre opzioni terapeutiche.

LA FONTE DEL VALORE
Quando si considera un potenziale investimento in biotecnologia, ci sono diversi fattori aggiuntivi da tenere a mente. Il primo e il più importante è la pipeline. Per un’azienda biotecnologica è la fonte del valore presunto e proiettato. In generale, gli investitori dovrebbero cercare di concentrare la loro attenzione su aziende con programmi multipli in fase almeno intermedia (cioè, più farmaci nella sperimentazione intermedia, non un singolo farmaco in studi intermedi multipli). È vero che le biotecnologie mono-prodotto possono essere grandi vincitori quando hanno successo, ma è anche vero il contrario: possono subire perdite schiaccianti se l’unico candidato per quella data tipologia di prodotto fallisce. Inoltre, alcune malattie sono enormi mercati potenziali, ma hanno un’ampia concorrenza e rigorose aspettative in termini di sicurezza o di prestazioni. Per esempio, mentre il cancro e l’artrite sono malattie importanti con un potenziale multimiliardario, ci sono numerosi farmaci già approvati e disponibili; se i nuovi farmaci non offrono qualcosa di nuovo (maggiore efficacia, minori effetti collaterali ecc.), potrebbero non essere approvati, per non parlare di trovare un grande mercato. D’altra parte, le malattie meno comuni possono rappresentare opportunità più grandi di quanto ci si renda conto. I cosiddetti «farmaci orfani» (quei medicinali potenzialmente utili per trattare una malattia rara) colpiscono malattie che affliggono meno di 200mila persone, ma si consideri che raggiungere anche solo 20mila consumatori per un farmaco che costa 50mila dollari all’anno (non è un cattivo prezzo per un farmaco salvavita) significa un’opportunità di guadagno di miliardi di dollari. Inoltre, le aziende che sviluppano farmaci orfani ricevono un’assistenza aggiuntiva sotto forma di esclusività di mercato e di obiettivi meno rigorosi per l’iscrizione agli studi di prova. Come risultato, con il farmaco giusto gli sforzi sono sempre ripagati. In pochi, per esempio, avevano persino pensato alla sindrome delle gambe irrequiete come una malattia, ma i farmaci venduti per questa sindrome hanno fatto bene. Allo stesso modo, c’è un farmaco sul mercato con il solo scopo dichiarato di far crescere le ciglia più a lungo, il che dimostra che non si può mai respingere completamente un’idea. Detto questo, gli investitori dovrebbero stare attenti con le aziende che cercano di risolvere alcune malattie. In tanti hanno provato, e fallito miseramente, a sviluppare farmaci efficaci per la sepsi, l’Alzheimer e l’obesità. Anche se alla fine ci saranno successi in questi settori, le probabilità non sono a favore dell’investitore.

OCCHIO AGLI OBIETTIVI AZIENDALI
Gli investitori devono anche comprendere gli obiettivi e le finalità della gestione aziendale. Molte aziende biotecnologiche intendono sviluppare i loro farmaci solo fino a un certo punto per conto proprio per poi scambiarli con un’azienda farmaceutica più grande in cambio di denaro e royalties future. Altre aziende, tuttavia, mantengono i diritti di marketing per sé stesse, e costruiscono la propria forza vendita. In definitiva, queste sembrano essere le aziende che creano il maggior valore per gli azionisti, ma è un percorso più rischioso. Va tenuto presente, inoltre, che non si tratta necessariamente di una decisione “tutto o niente”. Le aziende biotecnologiche possono scegliere di co-promuovere un farmaco con un partner più grande, e possono scegliere di farlo per costruire una forza vendita interna senza sacrificare completamente il flusso di cassa che può derivare dalle royalties. Attenzione, infine, a un aspetto molto importante. Le biotecnologie bruciano soldi. È un dato di fatto. Gli studi clinici costano molti soldi (sempre almeno decine di milioni di dollari, e spesso centinaia di milioni). Gli investitori, quindi, dovrebbero sforzarsi di trovare aziende ben finanziate per le loro esigenze cliniche a breve termine. In sostanza, è sempre bene lasciare che altri investitori prendano la diluizione azionaria, ma questa non è sempre un’opzione. Le aziende aspettano spesso di raccogliere fondi finché non hanno buone notizie da annunciare e possono vendere le azioni ai prezzi più alti dopo l’annuncio. Attendere troppo a lungo espone gli investitori al rischio di perdere quei “pop di buone notizie” che costituiscono la maggior parte dei guadagni negli investimenti biotecnologici.

GLI STRUMENTI PER INVESTIRE
E allora, come vi si può investire praticamente? Ovviamente, ricorrendo agli usuali fondi ed Etf. Essendo un settore molto popolare, ci sono parecchi strumenti, quotati sia su Borsa Italiana sia sui mercati esteri, che consentono un’esposizione alla biotecnologia. Sempre sottolineando che investire in un fondo costa più che investire in un Etf. Tra i fondi, è una buona scelta il SEB Concept Biotechnology Fund C, un prodotto che vanta anche 4 globi Morningstar di sostenibilità e tre stelle di rating, sempre da parte di Morningstar. Un costo di entrata dell1% e spese correnti dell’1,56 % all’anno ne fanno uno dei più economici del settore. A questo si aggiunge una performance annualizzata di oltre il 16% negli ultimi 10 anni. Altri prodotti, come il Polar Capital Biotechnology Fund R Income, il Candriam Equities L Biotechnology o il Selectra J. Lamarck Biotech Fund, hanno commissioni di entrata che vanno dal 5 al 3%, e performance annuali quasi altrettanto buone ma, come evidenziato, sono decisamente cari, almeno all’inizio. Passando agli Etf, impossibile non citare il più conosciuto del settore, l’iShares Nasdaq Biotechnology, che negli ultimi 10 anni ha avuto una performance del +361,91%, a fronte di un +250% dell’Etf sullo S&P500 nello stesso periodo, che consente di investire in tutte le aziende citate e in molte altre, e che distribuisce anche un dividendo (seppur basso, 0,13% annuo), cosa particolarmente rara. Altri Etf che vanno per la maggiore sono il SPDR Biotech, il First Trust Nyse Arca Biotechnology Index e il Direxion Daily S&P Biotech Bull 3x Shares. Quest’ultimo è particolarmente speculativo, perché la sua performance è rafforzata (o indebolita, dipende dalla giornata), da una leva 3. Ovviamente i costi di questi prodotti sono esiziali a paragone di quelli dei fondi corrispettivi (nessun costo d’ingresso e costi annuali dallo 0,35% al 1,12%), ed è quindi chiaro che la performance annuale o di lungo periodo risulti ancora migliore. In Italia, poi, esiste anche (ma non solo qui, sia ben chiaro) una maniera peculiare di investire in biotecnologia, e consiste nell’acquistare azioni di BB Biotech, una società d’investimento di diritto svizzero quotata a Milano nel segmento Star. Il portafoglio di BB Biotech è costituito dalle 20 alle 35 aziende biotecnologiche, divise tra top holding, aziende con fatturati e utili solidi e stabili nel tempo (come Celgene, per esempio), e partecipazioni minori, costituite da nuove società biotech che stanno facendo ricerca e sperimentazione su prodotti promettenti. Per citare alcuni prodotti di BB Biotech basti pensare a quelli di Novo Nordisk, come Victoza, destinati al trattamento del diabete, o a quelli di Ionis Pharmaceuticals, che con Spinraza si occupa dell’atrofia muscolare spinale. Secondo le prospettive, la crescita per il triennio 2019/2021 è stimata al 20%, calcolando non solo gli utili delle singole società che fanno parte del portafoglio, ma anche le imminenti approvazioni di nuovi farmaci.

LEGGERE LE AVVERTENZE
Per tirare le somme, si può certamente affermare che il settore delle biotecnologie è in forte espansione, e che questa crescita si riflette sui titoli delle società coinvolte, soprattutto oggi che molte società una volta pionieristiche sono diventate mature. Si tratta però di un profilo d’investimento ad alto rischio: bisogna essere disposti a investire a lungo termine, attuando una strategia buy and hold. Ed è fondamentale studiare ciò che sta dietro il titolo: informarsi sul farmaco, sulla capitalizzazione della società e sulle sue collaborazioni con, ad esempio, aziende farmaceutiche o di ingegneria genetica, eventuali fondi pubblici o privati che entreranno in cassa, e infine la concorrenza e la visibilità della società.

Articolo a cura di Alessandro Ruocco

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