Il coronavirus sta accelerando la digitalizzazione dell’economia

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Le società che forniscono le infrastrutture per l’economia online hanno assistito a un boom di domanda per i propri servizi

La pandemia di coronavirus ha messo a soqquadro l’economia globale e il settore tecnologico non è rimasto immune. Le supply chain sono state messe alla prova e la domanda per molti tipi di dispositivi e servizi si è contratta, dato che le imprese hanno rimandato gli investimenti e i consumatori si sono trovati in difficoltà.

Ma insieme alle sfide sono emerse anche opportunità. Con un numero crescente di persone in tutto il mondo che lavorano, fanno acquisti e passano il tempo libero a casa, le società che forniscono le infrastrutture per l’economia online hanno assistito a un boom di domanda per i propri servizi, rafforzando la propria posizione di dominante.

La digitalizzazione dell’economia e il predominio delle ‘platform company’
Sebbene sia probabile che il passaggio verso l’online si inverta man mano che riapriranno centri commerciali, cinema e uffici, molti dei cambiamenti a cui abbiamo assistito saranno permanenti, con milioni di persone che hanno sperimentato ad esempio il lavoro in videoconferenza o la spesa online.

In un momento in cui molte persone non possono o non vogliono uscire di casa, le società in tutti i settori si stanno rendendo conto dell’importanza di ‘digitalizzare’ il proprio rapporto con i clienti, che vogliono poter cercare i prodotti e tener traccia degli acquisti da remoto. Per di più, l’interazione online con i clienti genera risparmi sui costi ed efficienze, consentendo allo stesso tempo di raccogliere dati di grande valore su preferenze ed esigenze dei consumatori.

In questo mondo digitalizzato, le dimensioni sono fondamentali per un’azienda: chi raggiunge dimensioni adeguate può imparare più rapidamente, raccogliere più dati e migliorare ulteriormente i propri prodotti, attirando nuovi clienti, incrementando i rendimenti ed essendo così in grado di investire di più, in un circolo virtuoso.

I giganti tecnologici che incarnano meglio questo fenomeno sono le principali ‘platform company’ – un gruppo che include ad esempio Facebook, Alphabet, Apple, Amazon, Alibaba e Tencent. Queste società pioniere hanno potuto offrire un valore tanto più grande quanto più è aumentato il numero di utenti, un classico esempio del cosiddetto ‘effetto network’.

Un trend che abbiamo notato di recente è che anche alcune delle principali società di Software-as-a-Service (SaaS) stanno adottando un modello ‘platform’. Un esempio è ServiceNow, fornitore di programmi per l’automazione dei flussi di lavoro e la gestione delle infrastrutture IT. La nuova piattaforma della società (Now Platform) consente ai clienti di creare la propria applicazione con strumenti semplici, senza bisogno di competenze di coding sofisticate. La flessibilità e facilità d’uso può permettere di ampliare la base clienti al di fuori delle divisioni IT delle aziende.

L’‘effetto network’ nel settore media
Il settore media – così come quello della pubblicità e del retail – è stato rivoluzionato dalle piattaforme online, in grado di offrire un’esperienza migliore ai consumatori. A guidare questa disruption è stata Netflix, che grazie all’enorme numero di utenti e all’expertise nella gestione dei dati è in grado di cogliere in anticipo i trend dell’audience e creare contenuti ad hoc – come dimostrato dal successo delle sue produzioni originali.

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Il mercato dello streaming è stato invaso da nuovi concorrenti negli ultimi anni, ma crediamo che solo i player più grandi riusciranno a sopravvivere. Tra questi, Apple, Amazon Prime e Walt Disney, che però a nostro avviso verranno comunque considerati da molti utenti come aggiuntivi e opzionali rispetto al proprio irrinunciabile account Netflix. È interessante notare che la pandemia ha ulteriormente rafforzato la posizione di questa società: con i set chiusi e la produzione ferma, Netflix ha potuto far leva sulla propria scorta immensa e multinazionale di contenuti già filmati.

La corsa all’intelligenza artificiale: platform company in pole position
Le società che vinceranno la corsa all’intelligenza artificiale (AI) saranno quelle con le migliori capacità computazionali, i migliori specialisti dei dati e i dataset più ampi: tutte caratteristiche tipiche, ancora una volta, delle platform company, che infatti hanno già fatto molti progressi nel settore. In effetti, ci aspettiamo che i giganti internet finiranno per diventare fornitori di AI ‘on demand’, mettendo a disposizione i propri algoritmi a pagamento per le altre società. Una domanda cruciale è proprio come l’AI verrà adottata in altri settori; in particolare, stiamo monitorando da vicino i cambiamenti che potrebbe generare nel settore dei servizi finanziari.

Lo spettro della regolamentazione arretra ma non scompare
Le platform company ultimamente sono finite sotto la lente delle autorità per via delle proprie dimensioni e dell’ampiezza dei mercati a cui si rivolgono. Tuttavia, a nostro avviso non è assolutamente evidente che queste società stiano frenando l’innovazione e danneggiando i consumatori, come altri monopolisti del passato. Anzi, l’‘effetto Amazon’ ha fatto diminuire i prezzi retail e servizi molto usati come Google Maps o Instagram sono gratuiti. Inoltre, l’apprezzamento per i servizi forniti da queste società durante la pandemia ha fatto cambiare il tono della conversazione, almeno temporaneamente.

La concentrazione di un così ampio potere di mercato è comunque una minaccia? Autorità, politici e giudici potrebbero giungere a conclusioni diverse e gli investitori dovranno continuare a seguire il dibattito da vicino.

In conclusione, anche mentre il mondo lotta con il coronavirus, l’innovazione procede a ritmi serrati e i trend secolari che secondo noi creeranno valore nel settore tech restano intatti. Sembra che siamo ancora in una fase relativamente iniziale di un’età dell’oro dell’innovazione tecnologica, nella quale la straordinaria potenza di internet sta alimentando una creazione di valore senza precedenti per le aziende e gli investitori.

Commento a cura di Alan Tu, gestore del fondo T. Rowe Price Global Technology Equity, T. Rowe Price 

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