Inclusione dei criteri Esg e digitalizzazione. Paolo Proli, capo della divisione retail di Amundi in Italia, spiega come trovare valore nei mercati
L’intervista esclusiva a Paolo Proli tratta dal numero di maggio/giugno 2020 di Asset Management.
È il punto di vista di un osservatore privilegiato quello di Amundi, la più grande casa di gestione in Europa. Ed è il punto di vista di chi è abituato a guardare lontano, senza farsi distrarre dalla contingenza del momento, per quanto grave e preoccupante possa apparire. Certo, «il Covid-19 è arrivato come uno tsunami», dice Paolo Proli, Head of Retail Division in Italia e membro dell’Executive Board della società, «ma non farà altro che da acceleratore a dinamiche che erano già in atto e continueranno a essere centrali. Ecco, durante la pandemia sono diventate più evidenti». Tre grandi tematiche che Proli identifica in: «Sostenibilità dei modelli di business, digitalizzazione dell’industria, gap comunicativo».
Iniziamo dal tema della sostenibilità…
PAOLO PROLI: È quella che chiamo «Esgonomia», perché ormai economia e Esg vanno di pari passo. L’analisi fondamentale non può più prescindere dalla valutazione dei parametri di sostenibilità. Chi fa stock e bond picking non può più accontentarsi del classico Roi, l’indicatore più utilizzato nella finanza anni Ottanta, quella degli investitori alla Gordon Gekko, che badavano solo al profitto personale. Vanno selezionate (e dunque finanziate) le aziende che sono più virtuose anche in un’ottica di social return of investment (SROI). Ecco il tema della sostenibilità era già presente prima dell’esplosione della pandemia, è partito in maniera significativa negli ultimi 5 anni, concentrandosi soprattutto sulla transizione energetica, il global warming, l’impatto ambientale. In questa fase l’accento si sta spostando dalla E (environmental) alla S (social), perché la crisi da Covid-19 ha impattato (e continuerà a farlo) enormemente sulla vita delle persone. Il tema sarà al centro di tutta la catena del valore, coinvolgendo individui, collettività, governi ed entità sovranazionali.
Anche la digitalizzazione dei processi produttivi è partita da tempo…
PAOLO PROLI: Si tratta senza dubbio della più grande rivoluzione industriale degli anni Duemila. L’innovazione tecnologica aumenta costantemente la sua capacità e rapidità di disruption. Prendiamo il 5G: la possibilità di aumentare di mille volte la velocità di connessione rappresenta un cambio epocale. Farà nascere nuovi prodotti e servizi, modificherà radicalmente il modo di vivere e di lavorare. Il 5G è solo l’ultima tecnologia in arrivo, ma basta voltarsi indietro per rendersi conto di come nello scorso ventennio, le innovazioni tecnologiche siano state significative, ripetute e rapide, e abbiano innescato cambiamenti che non avevamo mai sperimentato nel secolo precedente. La digitalizzazione dei consumi, con l’esplosione dell’e-commerce durante il lockdown, è un’evidenza empirica. Si pensi che nei primi due mesi il 75% degli acquisti online sono stati fatti da persone che non ne avevano mai fatto uno in vita loro. Ed è un fatto anche la digitalizzazione delle abitazioni, che si sono rapidamente trasformate in uffici, cinema, social network… Non si tornerà indietro. Naturalmente tornerà, sta già tornando, la voglia e il bisogno di “fisicità”, ma l’innovazione sta fornendo alternative che resteranno nel tempo, anzi renderà alcune attività fisiche obsolescenti. I millennial sono milioni, negli Usa, per dire, entro breve rappresenteranno il 30% di tutta la forza lavoro. Nei prossimi 5-10 anni saranno loro (ma anche la generazione Z, quella di chi è nato tra la seconda metà degli anni ‘90 e la fine degli anni 2000) a indirizzare sia la produzione che la domanda. E le loro scelte saranno estremamente orientate al modello digitale, che sarà semplicemente un rafforzamento del «come», non del «cosa».
Lei ha parlato anche di un gap di comunicazione che va colmato. Come?
PAOLO PROLI: Prima del Covid-19 c’era (e a ben vedere c’è ancora) una forte tendenza a comunicare in modo tradizionale, vecchio. Ma la comunicazione diventa sempre più globale, e la customer experience non dovrà mai più essere la stessa per tutti. In un mondo che corre più velocemente, con una popolazione che cresce altrettanto velocemente, il gap va colmato con un nuovo tipo di esperienza, con un messaggio che sia personale e personalizzato per ciascuno. Nel mondo della consulenza finanziaria, per esempio, un modello unico basato su un profilo di rischio che vada bene per tutti non è la soluzione. Non basta vendere prodotti e la propria conoscenza dei mercati. Per rimettere al centro la persona, come tutti dicono di voler fare, bisogna conoscerla davvero e basare la consulenza sulle sue caratteristiche e sulla sua personalità finanziaria, che non è semplicemente il suo profilo di rischio (come prevede la Mifid). Ciascuno ha un modo diverso di prendere decisioni finanziarie. La finanza comportamentale ce lo ha spiegato bene, indicando i quattro tratti della personalità che restano costanti nel tempo: guardiano, idealista, razionale e intraprendente. C’è chi è avverso al rischio e cerca la protezione del proprio risparmio (e magari interpreta male gli strumenti con cui ottenerla) e chi è troppo sicuro delle proprie capacità. Ecco, penso che le Sgr, oltre a fare il loro mestiere principale, quello della gestione del capitale, della progettazione di soluzioni d’investimento, dell’analisi del mercato e di quella macroeconomica, si dovranno occupare anche di un modello comunicativo più efficace, che permetta di colmare il gap tra il consulente finanziario e il suo cliente investitore, aumentare l’empatia nel dialogo e migliorare la costruzione di un financial planning. Serve un approccio olistico.
A proposto di finanza comportamentale, all’inizio della pandemia, quando si è diffuso il panico sui mercati, è apparso ancora più chiaro che gli investitori spesso si fanno guidare dalle emozioni più che dalla razionalità. Non si impara mai?
PAOLO PROLI: L’emozione gioca un ruolo spesso decisivo. Daniel Kahneman, premio Nobel nel 2002 e pioniere dell’economia comportamentale, è stato il primo, insieme al collega Amos Tversky, a documentare come la maggior parte delle persone tenda a percepire le perdite con maggiore intensità rispetto ai guadagni. È quello che si definisce «avversione alle perdite». Kahneman e Tversky, assieme ad altri, hanno scoperto che dobbiamo guadagnare più del doppio di quanto perdiamo affinché l’assunzione di rischio ci sia indifferente. Insomma, si vende quando gli indici scendono e si rientra troppo tardi. Lo abbiamo visto in questo periodo, il crollo del 30% degli indici azionari in tre settimane, fino al 20 di marzo, è stata la perdita lineare continuativa più forte nella storia. Cosa che ha diffuso incertezza e paura e non ha permesso, poi, per mancanza di coraggio e visione, di partecipare al recupero. Non solo, abbiamo assistito anche a errori tragicomici: c’è stato per esempio un acquisto senza senso di azioni di Zoom Technologies che ha fatto il 1800% in borsa, peccato che non fosse Zoom Video Communications, la società che ha sviluppato la piattaforma per videoconferenze diventata famosissima durante la quarantena. Ancora una volta: si tratta di colmare il gap di comunicazione.
In Amundi invece come avete reagito all’esplosione del Covid-19? Come vi siete riorganizzati?
PAOLO PROLI: Il Covid-19, come ho detto, è stato un tsunami inatteso, che ha messo tutti in estrema difficoltà. Abbiamo dovuto lavorare in urgenza ed emergenza. In poco tempo ci siamo messi in lockdown, ben prima che lo imponesse il governo. Ci siamo subito concentrati sulla salute dei dipendenti, ma anche sulla “salute” del capitale dei nostri investitori, garantendo la business continuty. Ci siamo riusciti in meno di due giorni, permettendo a tutta la popolazione della Sgr (quindi non solo alla parte commerciale, ma anche a quella investimenti) di avere la piena operatività da remoto. In questo ci ha favorito il fatto di essere una grande società internazionale con una forte delocalizzazione. Devo dire che sono rimasto sorpreso del livello di digitalizzazione che era già presente in azienda, altri probabilmente hanno fatto più fatica.
Quali saranno le conseguenze per l’industria dell’asset management?
PAOLO PROLI: Non si può che proseguire sulla strada dell’integrazione e dell’armonizzazione anche nel nostro settore. La nostra industria si deve digitalizzare, deve diventare sempre più professionale e cambiare la comunicazione, cosa che si traduce nel fare investimenti, allargare la market share, diventare competitivi. E ritengo che le realtà più grandi siano le più attrezzate, non solo per sopravvivere, ma per evolvere. Penso poi che il modello delle Sgr cambierà: saranno sempre più società di servizi, mentre i prodotti diventeranno commodity. Non tutte saranno in grado di adattarsi. Secondo le ultime previsioni, il Pil globale dovrebbe contrarsi di oltre il 3%, quello dell’Eurozona dell’8-9%, e quello dell’Italia del 12-13%. Le borse invece dopo un crollo iniziale hanno ripreso a correre tornando verso i valori di inizio anno. Come mai? È d’accordo con chi sottolinea lo scollamento tra finanza ed economia reale? La recente euforia dei corsi borsistici mostra sicuramente uno scollamento tra economia reale e mercati finanziari. Il recupero così significativo non è certamente coerente con i dati macro. Ma è anche vero che ci sono dati congiunturali in miglioramento. Ad esempio, gli indici Pmi dei direttori acquisti sono tornati positivi, quelli della Cina sono addirittura in fase di espansione. Anche a livello emotivo, la fine del lockdown in molti paesi, o il dato sulla disoccupazione a maggio negli Usa che non hanno ancora concluso il lockdown ma dove a sorpresa gli occupati sono aumentati, hanno portato ottimismo. E poi ci sono le imponenti misure messe in campo dalla Bce e dalla Commissione europea. Bisogna ricordarsi che le borse si muovono sempre in anticipo rispetto all’andamento dell’economia reale. Il crollo dei mercati è stato repentino ed è arrivato prima della certificazione dei dati macro; adesso, le prime notizie positive stanno restituendo ottimismo agli investitori.
Quali sono le asset class che vi sentite di suggerire per questo post Covid?
PAOLO PROLI: Prima del Covid la nostra visione era di fine ciclo, per cui non eravamo bullish sul mercato, i nostri portafogli erano già difensivi, più attenti al value che al growth. In questa fase di recupero possiamo trovare aree d’investimento interessanti (per esempio tutta la parte investment grade, supportata dalle banche centrali, può essere sottoscrivibile e probabilmente anche utilizzabile come parte core dei portafogli), ma il focus resta sulle tematiche di lungo periodo: disruption, digitalizzazione, silver economy, education, healthcare conosceranno sicuramente un incremento della domanda. Riposizionarsi su questo tipo di tematiche, includendo anche la sostenibilità, mi sembra più efficiente che adottare la classica rotazione geografica o settoriale.
E per quanto riguarda gli strumenti d’investimento?
PAOLO PROLI: Ci sono tre strategie che andavano bene ieri, vanno bene oggi, andranno bene domani. Fare piani di accumulo sul mercato azionario, soprattutto sui fondi tematici Esg, perché la diversificazione ricorrente permette di abbassare i rischi di market timing. È una regola che vale sempre ed è un modello virtuoso di partecipazione agli utili futuri di queste aziende. Poi, si può investire in bond picking fatto da professionisti, per individuare quelle aziende più resilienti al rischio di credito, sulle quali posizionare magari strumenti buy and hold, diversificando bene con fondi comuni d’investimento (investment grade ma anche high yeld), e non puntare mai sui singoli titoli (soprattutto in fase di alta volatilità), in modo tale da rischiare di meno il default implicito nel singolo nome. Infine: individuare le aziende che stanno dimostrando la capacità di stare al passo con i nuovi bisogni e i nuovi consumi, e ricordarsi che quando ci sono recessioni violente alcune di queste hanno dei corsi che possono diventare occasioni di acquisto. Non bisogna solo avere paura nelle fasi di discesa, ma ricordarsi sempre la lezione di Warren Buffett e Benjamin Graham, i padri del value investing: «Price is what you pay. Value is what you get».
Amundi è una delle poche società che è in grado di offrire sia soluzioni a gestione attiva che soluzioni a gestione passiva. In questo momento è giusto abbinare etf a fondi attivi o è preferibile puntare di più su uno dei due?
PAOLO PROLI: Entrambi hanno un loro valore sempre. E devono convivere. Il fai da te però è molto rischioso, soprattutto in fasi così violente. La gestione attiva serve per posizionarsi sui temi e sulle aziende “virtuose” di cui parlavo prima. Ma serve una gestione professionale per fare la differenza. La gestione passiva, invece, permette di abbassare i costi di copertura dei mercati e di farlo rapidamente.
Parliamo di previdenza complementare, un tema sempre più stringente. Tra le altre cose voi gestite un fondo pensione aperto, SecondaPensione. Ce ne può illustrare le caratteristiche?
PAOLO PROLI: SecondaPensione, che è un fondo aperto, è una soluzione efficiente per coprire il gap previdenziale che sarà sempre più significativo per le nuove generazioni. Ha tutti i vantaggi della gestione finanziaria professionale di Amundi, con i suoi analisti e gestori internazionali. È il primo fondo pensione completamente digitalizzato, sottoscrivibile con firma elettronica senza dover passare da una filiale di banca. Permette di costruire il portafoglio più adatto a raggiungere i propri obiettivi, scegliendo tra 5 linee finanziare, dalla garantita alla più azionaria, con la possibilità di passare da una all’altra quando si vuole, gestendo attivamente il posizionamento nel tempo. Consente di beneficiare di vantaggi fiscali come la deducibilità dei contributi versati dal reddito imponibile sino a un massimo di 5.164,57 euro l’anno nella fase di accumulo; ha una tassazione agevolata dei rendimenti e delle prestazioni finali. Consente di richiedere anticipazioni o riscatti durante la fase di accumulo. Ha costi decisamente più bassi rispetto ai prodotti assicurativi come i Pip. Ed è stato il primo fondo pensione aperto Esg in Italia. Si tratta del prodotto principe di una consulenza davvero olistica. Con una battuta si può dire che SecondaPensione, soprattutto per le nuove generazioni, diventerà la prima pensione. In Amundi ci crediamo tantissimo, io non a caso sono stato, fra i dipendenti, uno dei primi sottoscrittori quasi vent’anni fa.
Passiamo su un piano più personale. Qual è la lezione più importante che ha imparato nella sua ventennale carriera nel mondo finanziario?
PAOLO PROLI: Che non si finisce mai di imparare. Ho iniziato la carriera nel 1998, all’equity trading desk di una banca che operava sul mercato di Borsa italiana: allora c’era la crisi finanziaria russa, oggi c’è un’altra crisi, quella del Covid. Nei miei oltre vent’anni nel risparmio gestito credo di aver vissuto più crisi che momenti di euforia, però dalle crisi si impara sempre. Ognuna è diversa dalle precedenti, ognuna è endogena, ma la lezione che ho imparato è che tutte vanno affrontate allo stesso modo: evitando comportamenti irrazionali e sbagliati, dovuti alle emozioni di breve periodo. E rimanendo saldi, pazienti. Il cambiamento va partecipato, non subito. Se dovesse indicare un unico momento, qual è stato il più importante nella sua vita professionale? E nella sua vita privata? Un momento molto bello risale a due anni fa, ed è legato a un progetto che ho fatto nascere in Amundi. Credo profondamente nel valore della sostenibilità (come peraltro Amundi che se ne occupa da oltre 30 anni). E che la transizione energetica sia fondamentale per risolvere il global warming e l’effetto serra. Nel 2015 ho conosciuto Stefano Caserini che insegna Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. Con lui e con l’importante contributo economico offerto da Amundi al Politecnico di Milano e al Centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici (i due partner scientifici) abbiamo dato vita a «Desarc-Maresanus»: un progetto di ricerca che ha l’obiettivo di contrastare l’acidificazione degli oceani con l’effetto di rimuovere CO2 dall’atmosfera. Perché, per limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C, come stabilito nell’ambito dell’Accordo di Parigi, non è più sufficiente la riduzione delle emissioni di CO2, ma diventa necessario eliminarla.
Infine, un consiglio che si sente di dare a un giovane che vorrebbe tentare la carriera nella finanza?
PAOLO PROLI: Gli dico: mandami il cv. Ma sii entusiasta, innovativo e dimostrami di avere un grande cuore e attenzione alle persone.
Articolo a cura di Paolo Tomasini