Gestione patrimoniale: come operano i fondi istituzionali

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Gestione patrimoniale

In materia di gestione patrimoniale, qual è il peso degli investitori istituzionali in Italia? Quali le loro principali strategie di asset allocation?

Articolo tratto dal numero di gennaio/febbraio 2020 di Asset Management.

A discutere di gestione patrimoniale e di come agiscono i fondi istituzionali, sul palco dell’Asset Management Forum sono intervenuti: Stefano Colombo, institutional business development director di Legg Mason; Joseph Camilleri, executive head di Bank of Valletta Asset Management; Libero Giunta, responsabile funzione finanza di Fondo Pensione Cometa; Andrea Mariani, Fondo Pensione Pegaso; Alessandra Franzosi, head of pension fund & asset owners capital market di London Stock Exchange.

Franzosi ha ricordato come siano ormai diversi anni che la Borsa lavora «in stretta connessione con gli investitori istituzionali domestici, nella convinzione che sia estremamente importante per lo sviluppo del mercato dei capitali di questo paese. La storia che l’Italia non ha investitori istituzionali e che questa è una delle cause del sottosviluppo del mercato dei capitali, credo non corrisponda più al vero. Le cose si sono profondamente modificate negli ultimi dieci anni. I fondi pensione gestivano 20 miliardi di euro più o meno nel 2000, oggi siamo oltre i 170, a cui si aggiungono gli 80 miliardi delle casse degli enti di previdenza, e i 40 delle fondazioni bancarie. Per non parlare poi di tutto il mondo delle assicurazioni». Ma non è solo una questione di numeri: «Gli investitori previdenziali», ha continuato la manager del LSE, «sono preparati per affrontare la complessità di una diversificazione maggiore delle loro asset allocation. è vero, sono ancora spostate sul debito e soprattutto su quello governativo, ma anche questo trend è in riduzione, a favore di una maggiore apertura nei confronti degli investimenti alternativi o di temi maggiormente sofisticati».

Secondo Colombo, «il tradizionale playground degli investitori, ovvero l’obbligazionario europeo investment grade, oggi è caratterizzato principalmente da tassi sotto lo zero. E quindi si rende necessario guardare un po’ oltre i confini tradizionali del proprio universo investibile. Pensiamo per esempio esempio ai mercati emergenti. Ma soprattutto è l’approccio che deve essere messo in discussione: deve iniziare a prevalere quello più unconstrained, che consente di essere molto dinamici e tattici nel cogliere le opportunità che si vengono a creare sui diversi segmenti del mondo del mondo obbligazionario, ma soprattutto di proteggere il portafoglio dai rischi che strategie long only non sono in grado di limitare». Anche nell’azionario, ha sottolineato il director di Legg Mason, «un approccio fortemente attivo può aiutare a identificare quelle società caratterizzate da una qualità elevata, da business sostenibili e in settori destinati a crescere per i trend secolari, che possono navigare meglio eventuali fasi di turbolenza. Bisogna ampliare il panorama: per esempio c’è tutto il tema del private market, che secondo noi trova negli istituzionali un interlocutore perfetto, perché sono caratterizzati da tempi di detenzione più lunghi rispetto ai public markets, cosa che ben si sposa con la poca necessità di liquidità degli attori, per esempio, previdenziali».

Cometa, il fondo pensione dei metalmeccanici, con 420mila aderenti, più di 11 miliardi in gestione, e un tasso di crescita che si attesta a 900 milioni l’anno, ha spiegato Giunta, «ha compiuto un’evoluzione molto importante nel 2017, passando per quanto riguarda le gestioni puramente finanziare a gestioni completamente di tipo total return. Prima eravamo molto esposti sul bond italiano, in alcuni contesti di mercato siamo arrivati ad averne per circa il 50% del portafoglio. Per questo abbiamo deciso di rivedere il concetto di diversificazione, grazie anche all’evoluzione normativa che ci ha dato la possibilità di investire anche in asset e zone geografiche che prima ci erano precluse. E siamo passati al total return: cercando di togliere il vincolo del benchmark al gestore e dare maggiore libertà di azione nel rispondere ai cambiamenti del mercato». Quello che ancora manca, ha aggiunto il responsabile funzione finanza del fondo, «è l’investimento private. è un tema che comunque stiamo approfondendo».

Anche l’altro rappresentate di un fondo pensione, Mariani, ha sottolineato l’importanza della diversificazione: «Il nostro è un fondo di medie dimensioni, rivolto ai dipendenti del settore dei servizi di pubblica utilità, il nostro patrimonio gestito è un decimo di quello di Cometa, un miliardo e 100 milioni, abbiamo 33mila iscritti. Insomma, la scala è diversa, ma anche abbiamo ampliato notevolmente l’universo investibile: oggi per la parte azionaria e obbligazionaria il riferimento è il globo. Però c’è ancora molto su cui non investiamo, perché diversificare significa anche assumersi rischi, che bisogna essere in grado di gestire, controllare e monitorare. Non investiamo per esempio nei mercati di frontiera, però investiamo negli emergenti. Investiamo molto poco se non nulla nelle small cap, e non abbiamo investito fino a oggi in asset illiquidi, nel private market in senso ampio. Due anni fa circa, però, siamo partiti con il progetto Iride, insieme ad altri quattro fondi pensione (Fondenergia, Previmoda, Fondo Gomma Plastica e Foncer), per condividere risorse e investire, innanzitutto, in private equity. Abbiamo scelto una modalità non usuale, il mandato di gestione: abbiamo fatto una gara per 216 milioni, e abbiamo individuato come gestore Neuberger Berman. Stiamo definendo l’aspetto contrattuale e speriamo nei primi mesi del 2020 di fare i primi conferimenti».

Un’idea su dove investire, l’ha data l’executive head di Bank of Valletta Asset Management: Malta. «Si tratta di un mercato di frontiera», ha detto Camilleri, «non è neanche un mercato emergente. è un piccolo stato con meno di 500mila abitanti, ma negli ultimi cinque anni in media il Pil è cresciuto di oltre 6% ogni anno, e secondo le previsioni anche nei prossimi due anni la crescita economica di Malta supererà quella di tutti gli altri stati nella zona euro. La disoccupazione è fisiologica: ci sono ben 60mila stranieri che lavorano sul territorio su una forza lavoro di poco più di 200mila persone. Di questi circa 10mila sono italiani, solo dieci anni fa se ne contavano 500. Per gli ultimi tre anni consecutivi Malata ha registrato un avanzo di bilancio del 3%, il che ovviamente sta riducendo il debito pubblico, ormai sceso al 43% del Pil. I servizi finanziari sono uno dei pilastri più importanti dell’economia, come il turismo, la farmaceutica, la manutenzione di aerei, il gaming e il fintech. Ovviamente tutto questo si riflette sulle performance economiche delle società che operano a Malta e che sono quotate sulla borsa maltese. Non solo: c’è una bassa correlazione tra il listino maltese e gli indici internazionali. Insomma, per investitori istituzionali avere un’esposizione sul mercato maltese significa diversificare il rischio.

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