C’era una volta un mondo chiaro e definito, dove coloro che lavoravano sapevano che cosa facevano e soprattutto che cosa faceva l’altro. Un giorno qualcosa si ruppe e tutto cambiò.
Le persone cominciarono a ricevere comunicazioni dalla propria banca che suonavano come minacce. Le commissioni attive sui conti correnti prima diminuirono, andando in negativo rispetto alle spese, chi si recava nella propria filiale a richiedere un mutuo veniva quasi deriso e a imprese e persone vennero applicate commissioni per la giacenza dei propri risparmi. Al contempo queste nuove entità cominciarono a proporre ai propri clienti assicurazioni e prodotti finanziari. In un primo momento le persone si trovarono disorientate, oltre che inferocite, ma poi cominciarono a guardarsi intorno e videro che erano nate altre strutture dematerializzate che offrivano gli stessi servizi in maniera più intuitiva e con costi inferiori. In un primo momento le persone nutrirono perplessità e mostrarono scarsa fiducia, ma pian piano si resero conto che la vecchia banca li aveva già traditi più volte nel tempo ed era giunto il momento di cambiare. Le vecchie e grandi banche cominciarono a perdere clienti oltre che la credibilità ormai erosa in tanti anni. Provarono con tutte le forze a tornare sui propri passi, promettendo nuovi servizi e nuovi rendimenti, ma ormai era troppo tardi. Avevano perso il timing e avevano sbagliato le modalità. Questo racconto altro non è che la realtà.
Il rapporto di fiducia tra istituti bancari ed economia reale è sempre più incrinato. Perché le banche non fanno più le banche. Sul sito di Banca d’Italia si legge: «Nell’ordinamento italiano l’attività bancaria è definita come l’esercizio congiunto dell’attività di raccolta di risparmio tra il pubblico e dell’attività di concessione del credito. La raccolta del risparmio presso il pubblico è prerogativa delle banche e viene definita come acquisizione di fondi con l’obbligo di rimborso, sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma. Coerentemente con l’ordinamento europeo, le banche possono esercitare oltre all’attività bancaria ogni altra attività finanziaria, fatte salve le riserve di attività previste dalla legge». Una definizione che stride con la realtà. Le banche non finanziano più l’economia reale in modo diretto e di fatto chiedono ai propri clienti di pagare commissioni più alte a causa della crescita dei costi imposti dalla Bce, il cui scopo era proprio l’esatto opposto, ossia incentivare un maggior afflusso di liquidità verso l’economia reale. Le banche non vogliono finanziare le imprese e i privati, demandando tale compito al risparmio gestito. Di fatto sono diventate dei meri distributori di servizi finanziari. Anzi, dei promotori: il loro scopo è vendere ai propri clienti il prodotto che hanno in casa, senza una vera analisi dei bisogni e senza le reali competenze per identificarli.
Le banche non vogliono più assumersi alcun tipo di rischio imprenditoriale e pensano a un modello di business che si basa su revenue indipendenti dal successo delle operazioni o dal benessere dei propri clienti. In un futuro non troppo lontano, saranno i big della tecnologia come Google, Amazon e Apple a offrire i servizi che le banche ormai non fanno più, unendo anche la distribuzione diretta dei prodotti finanziari. Alcuni primi timidi tentativi li stanno già facendo sotto forme ibride e poco riconoscibili, ma in maniera piuttosto estesa tale da poter effettuare dei veri business plan e valutare le mosse da fare. La domanda è se preferiremo affidarci a player globali, all’avanguardia e con un solido nome alle spalle, o a player più piccoli, che negli anni hanno fatto tante promesse senza mantenerle.
Tratto da Asset management maggio-giugno 2021