In un contesto sempre più complesso e incerto, che ogni giorno può modificarsi, come si possono costruire portafogli performanti?
Articolo tratto dal numero di gennaio/febbraio 2020 di Asset Management.
La costruzione di portafogli performanti in uno scenario di mercato sempre più complicato e mutevole. È questo, naturalmente, l’obiettivo principe degli asset manager. E non poteva che essere uno dei temi al centro della terza edizione del Asset Management Forum, che si è tenuto il 20 novembre scorso a Milano. Sul palco di Palazzo Mezzanotte, ne hanno parlato Adriano Nelli, head of global wealth management Italy di Pimco, Antonio Poggialini, sales director di Pictet, Marco Romani, head of investment advisory di Cnp Partners, e Luca Astorri dell’Ufficio regolamentazione di Consob.
«Il mercato in questo momento», ha illustrato Nello, «è influenzato da tre fattori principali: quello dell’economia, quello della liquidità e quello politico. Su tutti, quello che conta di più è il ciclo della liquidità, dominato dalle banche centrali, soprattutto la Fed e la Bce. A dispetto di un ciclo economico che è in chiara fase di rallentamento, molti indici, su tutti quello americano, sono ai massimi storici. Questo perché le banche centrali hanno sostenuto le valutazioni attraverso un’ulteriore iniezione di liquidità. E se tutto questo avviene nel momento in cui il ciclo politico è tornato a essere meno preoccupante di prima, ecco che a quel punto il ciclo economico in rallentamento, con il rischio di recessione, viene un po’ meno».
Ma qual è l’impatto sugli investimenti di questi cicli? «Noi in questo momento», ha spiegato il manager di Pimco, «cerchiamo di ridurre la complessità dei portafogli. Vogliamo titoli facilmente liquidabili, per poter trarre vantaggio da eventuali vendite precipitose e a prezzi più convenienti rispetto a quelli di oggi. Poi, più che prendere scommesse direzionali forti su questa o quella classe di attivo, cerchiamo di mettere a pieno frutto la nostra ricerca proprietaria sul credito, la nostra capacità di individuare dislocazioni sul mercato per andare a comporre tutta una serie di piccole posizioni all’interno del portafogli dove pensiamo di generare alpha. Per esempio investire in un titolo senior delle grosse banche americane potrebbe essere una buona idea, però se scendiamo nella struttura del capitale di alcune banche europee ci accorgiamo che i premi di complessità che otteniamo sono molto più incoraggianti rispetto a quelli delle banche americane. Il mercato obbligazionario è molto complesso e ci sono continuamente opportunità per generare valore, con la gestione attiva e con l’identificazione di queste dislocazioni che ci sono sempre nel meccanismo di formazione dei prezzi».
Poggialini ha messo in luce come il lavoro di costruzione del portafoglio sia «cambiato tantissimo negli ultimi anni, perché sono cambiati i mercati ma non è cambiato l’approccio al rischio dell’investitore finale. E quello italiano è da sempre molto conservativo. Era stato abituato per tanto tempo ad avere un portafoglio concentrato sul mercato obbligazionario governativo, con una volatilità tollerata attorno al 5%, e con una parte di azionario che portava magari ad avere un rendimento atteso a scadenza di circa il 4% l’anno. Ecco oggi il portafogli è completamente cambiato perché le banche centrali hanno modificato totalmente le caratteristiche intrinseche dei titoli. Chi ha mantenuto lo stesso profilo di rischio non riesce più a ottenere i rendimenti del passato». Ecco perché, ha spiegato il sales director di Pictet, «se bisogna mettere in piedi un portafoglio nel breve periodo, forse la cosa più indicata è cercare di mantenere il valore del rendimento più vicino possibile allo zero, evitando troppi rischi. I mercati obbligazionari sono così tirati che basterebbe pochissimo per avere rendimenti negativi in modo repentino. E se si considera che la liquidità è diventata un costo, già ottenere un vero rendimento poco sopra lo zero è già eccezionale nel breve medio periodo. Possiamo invece fare la differenza nel lungo periodo, sfruttando in modo graduale soprattutto il mercato azionario».
Come? Cambiando approccio e tornando alle origini, secondo Poggialini. «Di solito si fa un’asset allocation geografica, mentre le aziende sottostanti hanno un valore minore nella scelta». Ci vuole invece un approccio tematico, bisogna «tornare a guardare gli utili delle aziende. E individuare quelle che, sfruttando i megatrend di lungo periodo, riescono a produrre utili più alti della media. Se si riesce a comprare il titolo di un’azienda i cui utili dipendono non tanto dal politico di turno, non tanto dal ciclo economico, non tanto dal luogo in cui l’azienda è quotata, ma dal fatto che questa azienda cresce perché c’è sviluppo tecnologico, c’è sviluppo demografico, c’è attenzione alla sostenibilità, c’è attenzione all’ambiente, beh con buona probabilità nel lungo periodo quel titolo avrà un prezzo più alto della media. Romani ha posto l’accento sull’enorme liquidità parcheggiata sui conti correnti. «Un controsenso, un paradosso», secondo l’head of investment advisory di Cnp Partners. In Europa ci sono 10mila miliardi di euro depositati nelle banche, il 15% circa è in Italia: 1.400 miliardi. «Perché? Evidentemente perché gli investimenti monetari a breve termine oggi sono negativi». Ma anche perché, «il risparmiatore vuole poter far fronte a eventuali spese inattese. è quello che si definisce liquidity risk. Ma il modo migliore per affrontarlo è attraverso delle coperture assicurative che, anziché pesare sul lato dell’attivo di un bilancio familiare, diventano una componente dell’asset allocation strategica».
Nei primi anni Duemila, ha proseguito Romani, «l’allocazione dei portafogli avveniva soprattutto su titoli singoli, poi sono arrivati il risparmio gestito, i fondi comuni d’investimento, quelli classici, direzionali, poi si sono sviluppati gli hedge fund, è arrivata la normativa Ucits, si sono introdotte le componenti alternative del private equity, del real estate… sempre concentrandosi sulla allocazione del patrimonio finanziario del cliente. Ecco, credo si debba ora spostare il focus anche sui rischi del ciclo di vita di un cliente, di una famiglia. Serve un approccio più integrato, bisogna offrire sia prodotti di risparmio, sia coperture assicurative che permettono, appunto in un contesto storico di tassi negativi, di liberare risorse da questa grande massa di liquidità, che chiaramente dovranno poi essere veicolate su corretti orizzonti temporali ». Sul tema della diversificazione, infine, è intervenuto Astorri. L’obbiettivo del regolatore, ha detto, è «consentire al singolo risparmiatore di investire in maniera efficiente e diversificata, magari in strumenti innovativi, con profili di rischio maggiori ma anche con maggiori opportunità di rendimento. Ovviamente limitando l’accesso soltanto agli investitori con le spalle sufficientemente larghe». Per esempio, la Consob, ha ricordato, «ha di recente pubblicato il nuovo regolamento sul crowdfunding. Il legislatore ha aperto alla possibilità di accedere a nuovi strumenti di debito, quelli emessi da piccole e medie imprese, che prima non erano accessibili. E ha dato a noi l’obbligo di stabilire quali fossero gli investitori in grado di maneggiarli, visto che possono presentare profili di rischio significativi. Abbiamo stabilito tre criteri: una ricchezza finanziaria rilevante, sopra i 250mila euro, o un chip di ingresso molto alto di 100mila euro. Oppure attraverso un servizio ad alto valore aggiunto come quello della consulenza, previa valutazione di adeguatezza. è lo stesso discorso fatto a livello europeo nella capital market union, e in particolare con gli Euveca ed Eltif».
Commento a cura di Leopoldo Fiore