Dai PIR ai CIR risparmiatori al bivio

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Dopo due anni di corsa, i Piani individuali di risparmio rallentano, anche per i timori legati alla resistenza sul mercato delle piccole e medie imprese. A rubare la scena potrebbero essere i nuovi strumenti allo studio dell’esecutivo per riportare in Italia il debito pubblico, che promettono guadagni ancora più allettanti sotto il profilo fiscale.

Per chi vuole investire senza lasciare gran parte dei guadagni in mano al fisco, nei prossimi mesi potrebbero esserci grandi novità. Per ora l’unico strumento a tassazione agevolata presente sul mercato sono i Pir, ma la maggioranza di governo, in particolare quella leghista, assicura che presto arriveranno anche i nuovi Cir, destinati principalmente all’acquisto di titoli di Stato. Meglio il vecchio o il nuovo? Sulla convenienza dello strumento finanziario introdotto in Italia dal primo gennaio 2017 all’inizio nessuno aveva dubbi. E l’entusiasmo con cui i Piani individuali di risparmio sono stati sottoscritti nel primo anno ha convinto anche i più scettici. Da alcuni mesi, però le certezze hanno cominciato a scricchiolare.

I Pir (prodotti d’investimento che devono essere destinati per almeno il 70% in titoli, anche non negoziati nei mercati regolamentati o nei sistemi multilaterali di negoziazione, emessi o stipulati con imprese fiscalmente residenti in Italia o in stati membri dell’Unione europea o in stati aderenti all’accordo sullo spazio economico europeo con stabili organizzazioni in Italia, e per il 30% in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite nell’indice Ftse Mib) prevedono un regime di esenzione fiscale per i redditi di capitale e i redditi diversi percepiti da persone fisiche residenti in Italia, al di fuori dello svolgimento di attività di impresa commerciale, derivanti dagli investimenti effettuati in piani di risparmio a lungo termine. Nel dettaglio, il risparmiatore che detiene il Pir per almeno cinque anni viene completamente esonerato dal pagamento delle imposte e tasse previste sul capital gain, eccezion fatta per l’imposta di bollo del 2 per mille sugli strumenti finanziari diversi dai conti correnti bancari e postali (cosiddetta «mini patrimoniale»).

L’incognita Pmi. Sulla carta il prodotto non ha rivali. Nella realtà, però, la musica cambia. I costi di gestione, infatti, sono molto elevati. Arrivando, a volte, a rendere i Pir meno convenienti di altri strumenti di risparmio come gli Etf. Poi, c’è la questione dei rendimenti, legati alla tenuta delle aziende sui listini. In assenza di un aumento delle quotazioni di Pmi, si legge in una lunga analisi condotta da Deloitte, Nctm e Jeme (un’associazione no profit formata da studenti della Bocconi, che fornisce servizi di consulenza professionale alle imprese), esiste «il rischio concreto» di una bolla speculativa sulle società a piccola e media capitalizzazione quotate a Piazza Affari. «Qualora questa crescita nei volumi e nella liquidità degli indici», che sono influenzati dai Pir, «non fosse supportata da una corrispondente quotazione di un numero adeguato di Pmi, e dato che l’attuale bacino di imprese è limitato, vi sarebbe il rischio concreto che si formi una bolla speculativa delle mid e small Cap». Un fenomeno, si legge nello studio, «dovuto alle innumerevoli risorse investite nei mercati, troppo piccolo sotto molti aspetti, che hanno reagito al successo dei Pir con un aumento sregolato delle valutazioni». La crescita delle società quotate «risulta fondamentale per permettere il corretto funzionamento di indici di mercato come, ad esempio, l’Aim». Per stimolare un numero di quotazioni «effettivamente sufficiente» a rimuovere il rischio bolla lo studio suggerisce l’introduzione di «incentivi alla quotazione». Da gennaio 2017 a fine giugno 2018, si legge nel paper, sono stati lanciati 70 prodotti Pir con una raccolta di 14,4 miliardi di euro, con una previsione di 67,9 miliardi di raccolta nei primi cinque anni di vita dei Pir. Il rapporto di Deloitte, analizzando l’andamento dell’indice Ftse Italia Pir Pmi All, evidenziava un aumento medio dei prezzi del 40% tra gennaio e ottobre 2017. Il rallentamento dei piani individuali.

Ad avanzare perplessità è anche Massimo Mazzini, responsabile marketing e sviluppo commerciale di Eurizon. Nel 2017 i Pir «hanno rappresentato circa l’11% della raccolta del risparmio gestito», ha rilevato il manager. Quest’anno «la raccolta sta proseguendo ma in rallentamento, coerentemente con il calo nei ritmi della raccolta complessiva del risparmio gestito». Dagli ultimi dati Assogestioni i Pir, ha proseguito, «rappresentano intorno al 30% della raccolta del 2018, quindi si sono dimostrati uno strumento resiliente. Questo grazie al fatto che si tratta di una soluzione diversificata e quindi adatta a tutte le tipologie di investitori. Ma anche perché si fonda su un patto chiaro col cliente: mantenere l’investimento per 5 anni per godere del beneficio fiscale. Come Eurizon, e come industria del risparmio gestito, stiamo lavorando su un’evoluzione dello strumento per ovviare alla caratteristica della liquidabilità dei fondi comuni», ha spiegato ancora Mazzini. «In Eurizon stiamo studiando dei fondi chiusi, gli Eltif, che permetteranno di finanziare le Pmi mantenendo l’investimento su un orizzonte coerente con l’asset. La differenza tra il fondo Ucits e l’Eltif è la modalità di distribuzione, il secondo richiede una maggiore preparazione da parte dell’investitore».

Di fronte al cedimento dei Pir, il governo si mantiene cauto. «È difficile e ingiusto valutare adesso il rendimento dei piani individuali di risparmio», ha detto Stefano Firpo, direttore generale del Mise, sottolineando che se è vero che quest’an- no la raccolta dei Pir a settembre è scesa a 3,5 miliardi di euro rispetto ai circa 11 miliardi del 2017 è anche vero che l’incidenza dei Pir sulla raccolta globale dell’industria del risparmio gestito è salita da circa il 10% del 2017 al 28% dei primi nove mesi del 2018. L’acquisto del debito pubblico. Se i Pir iniziano a perdere colpi, tra un po’ sul mercato potrebbe arrivare un prodotto nuovo di zecca. Stando ai continui annunci degli esponenti leghisti, infatti, per l’inizio del prossimo anno, saranno disponibili anche i Cir, conti individuali di risparmio. L’idea di base è quella di puntare sul risparmio degli italiani per finanziare il debito pubblico, rendendo i titoli di Stato il più attraenti possibile per tutte le famiglie. Nel dettaglio, si tratta di detassare totalmente gli acquisti privati di Btp e di garantire in aggiunta anche un credito d’imposta al 3,5%. Rispetto al sistema attuale di tassazione al 12,5% (già agevolato rispetto al prelievo del 26% sul capital gain) il guadagno sarebbe netto. L’unica condizione sarebbe quella di mantenere in portafoglio i titoli del debito pubblico fi no alla loro scadenza naturale.

Sotto il motto «investi nel tuo Paese», il governo troverebbe così il modo per garantirsi investitori stabili di lungo periodo e, allo stesso tempo, fronteggiare la potenziale fuga di capitali esteri, già prefigurata negli ultimi dati di Bankitalia sulle consistenze del debito italiano nei mesi estivi. I nuovi Cir potranno essere acquistati con tagli da 3mila euro, consentiranno di finanziare le infrastrutture e avranno, assicura il sottosegretario Armando Siri, una deduzione sull’acquisto del 23%. Serviranno a dare dotazione finanziaria a una serie di «impellenze», in particolare degli enti locali, e delle vecchie province, come «strade e ponti». Il governo, spiega l’esponente legista, punta a sperimentare questo strumento con «una dotazione per questa prima emissione sperimentale che avrà un tetto massimo di 15 miliardi di euro. È un inizio, sicuramente se le cose andranno bene potremo aumentarla». L’interesse delle casse private.

L’ipotesi, comunque, ha già raccolto i primi consensi. Il sistema delle casse previdenziali «già investe in titoli di debito dello Stato in misura importante, potremmo pensare a ulteriori operazioni a sostegno del Paese, in caso fossero confermate le affermazioni del vicepremier Matteo Salvini riguardanti i Cir, in analogia con quanto fatto per i Pir», ossia mediante l’azzeramento della tassazione sul capital gain, ha spiegato il presidente dell’Adepp (Associazione degli enti pensioni- stici privati) Alberto Oliveti. «La mia cassa», ha aggiunto, riferendosi all’Enpam, quella dei medici e degli odontoiatri, «investe più di un miliardo di euro in titoli di Stato italiani. Potremmo valutare il potenziamento di questa modalità d’investimento». E un sostanziale via libera è già arrivato pure dai notai. «Bisognerebbe capire bene che tipo di passaggi fiscali ci sarebbero nei Cir di cui si parla: potrebbero rivelarsi uno strumento utilizzabile e vantaggioso anche per noi», ha affermato il presidente della cassa di previdenza del notariato, Mario Mistretta. «La nostra cassa, attualmente», ha proseguito, «ha investito in titoli di Stato circa il 10% del patrimonio, che ammonta complessivamente a un miliardo e mezzo di euro. Se ci venisse proposta una nuova tipologia di operazione finanziaria interessante saremmo, forse, incentivati a elevare la nostra quota di titoli di Stato».

Pericoli, secondo Siri, non ce ne sono. Qui non si tratta di regalare i soldi allo Stato, ha spiegato in un’intervista al Messaggero, «ma della possibilità per le famiglie di destinare una parte dei propri risparmi acquistando in titoli della Repubblica, così come del resto è sempre stato. Non c’è nessuna fregatura, nessun rischio, semmai le fregature, come molti ricorderanno, sono arrivate da Lehman Brothers e dai subprime». I soldi saranno destinati esclusivamente a investimenti in infrastrutture. Andranno, ha precisato il sottosegretario, «a interventi specifici come la riqualificazione delle scuole, alle strade, alla manutenzione ordinaria, alle infrastrutture di cui il paese ha bisogno, serviranno allo sviluppo e a colmare il gap che ci separa dagli altri paesi». Il governo è convinto che l’operazione avrà successo. «Abbiamo già parlato con le banche e con gli operatori del settore», ha detto Siri. «Partiremo nel 2019 con questo strumento innovativo. Investire nei Cir significa scommettere sull’Italia e l’investimento avrà una tracciabilità piena perché chi mette i soldi saprà a quale opera vanno. Dopo il debutto si potrà rafforzare questo meccanismo per dimostrare che l’Italia è un paese che può disporre delle proprie risorse autonomamente». La cautela degli investitori.

Resta da vedere se la mossa riuscirà a scuotere l’industria del risparmio gestito, che continua a muoversi con il freno tirato, con gli investitori che sembrano ancora privilegiare la prudenza a fronte delle tante incertezze nazionali e internazionali. Come indica la mappa mensile di Assogestioni, la raccolta netta a settembre segna un saldo di +436 milioni dopo +2,54 miliardi a agosto e -483 milioni a luglio, a conclusione di un’estate dai toni decisamente morigerati per il risparmio italiano.

Da inizio anno il totale dei flussi è stato di +12,3 miliardi. Il patrimonio gestito, per contro, a settembre si è risollevato a 2.054,5 miliardi dai 2.049 miliardi del mese precedente. Nel 2017 settembre aveva segnato una raccolta netta di +3,6 miliardi dopo +8,6 miliardi ad agosto, il totale dell’anno si avvicinava a 80 miliardi e il patrimonio ammontava a 2.046 miliardi. A settembre il segno è stato negativo per la raccolta netta delle gestioni collettive (-804 milioni dopo +1,1 miliardi in agosto), sotto il peso dei -1,3 miliardi dei fondi aperti (dopo +643 milioni), solo in parte compensati dai +493 milioni dei fondi chiusi (da +507 milioni). È proseguita, invece, la raccolta positiva per le gestioni di portafoglio con +1,24 miliardi (dopo +1,4 miliardi in agosto), sulla spinta dei +1,85 miliardi dei mandati istituzionali (dopo +1,4 miliardi), men- tre le retail hanno chiuso il mese a -616 milioni (dopo -24 milioni). Da inizio anno le gestioni collettive hanno una raccolta netta di +9,87 miliardi (+8,3 miliardi dai fondi aperti e +1,6 miliardi dai fondi chiusi). Le gestioni di portafoglio, invece, hanno totalizzato da gennaio +2,4 miliardi (-1,7 miliardi dalle retail e +4,1 miliardi dalle istituzionali). Tra i fondi si è fatta più precipitosa la fuga dagli obbligazionari che a settembre hanno registrato deflussi per -2,2 miliardi, dopo -761 milioni in agosto, per un totale da inizio anno di -19,2 miliardi.

A cura di Filippo Fattore

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