Gender investing gap e servizi d’investimento al femminile

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gender investing

Recenti ricerche mostrano come il gender investing gap si stia riducendo e come le donne detengano una crescente porzione di ricchezza. L’offerta del settore finanziario però sembra non aver ancora colto a pieno questa opportunità

Articolo tratto dal numero di settembre/ottobre 2019 di Asset Management.

Per comprendere a fondo le potenzialità di questo segmento di mercato bisogna far riferimento al fenomeno del «gender investing gap», cioè il differenziale che esiste tra investitori e investitrici in termini di numero di soggetti attivi. Le donne, infatti, risultano storicamente meno partecipi alla gestione della ricchezza personale e di famiglia. Questa sotto-rappresentazione delle donne nel mondo degli investimenti comporta un’ulteriore perdita di ricchezza legata al mancato guadagno derivante dai rendimenti statisticamente positivi offerti dai mercati finanziari nel lungo periodo. Negli ultimi anni tuttavia si sono registrati importanti segnali di miglioramento rispetto alla chiusura del gap che ha effettivamente iniziato a comprimersi. A titolo esemplificativo, il mercato americano, tra i primi ad aver affrontato questo tema, ha visto aumentare la percentuale di donne investitrici grazie anche all’attenzione degli intermediari e delle reti di consulenti finanziari nell’erogare servizi di investimento rispondenti alle loro esigenze sotto tutti i punti di vista (esigenze di pianificazione finanziaria, costruzione di prodotti e servizi ad hoc, comunicazione e marketing etc.): oggi il gap negli Stati Uniti è solo del 4%.

Oltre al gender investing gap si sta riducendo anche il divario della ricchezza in mano alle donne rispetto alla controparte maschile anche come conseguenza delle migliori condizioni finanziarie e della loro maggiore autonomia nel settore degli investimenti. Le ragioni che risiedono dietro questo incremento sono molteplici, infatti nonostante la condizione salariale sia ancora sfavorevole rispetto agli uomini, alcuni (ma ancora troppo pochi) passi avanti sono stati fatti: le retribuzioni e il ruolo delle donne nella società stanno comunque migliorando. Un altro fattore determinante è la transizione demografica: la generazione dei baby boomer è ormai al tramonto e le nuove generazioni fanno sempre meno figli, ciò comporta una concentrazione della ricchezza che, a differenza del secolo scorso, sarà egualmente distribuita tra i due sessi. A conferma di ciò interviene, tra gli altri, anche Boston Consulting Group che attraverso una survey con particolare focus sulle donne Hnwi nel mondo, ha sottolineato come il capitale nelle loro mani sia in continua crescita (incremento di 17 trilioni di dollari nel solo periodo 2010-2015).

Interessante ora diventa comprendere come l’Italia si innesta in questo quadro. Una ricerca svolta da Intesa Sanpaolo e dal Museo del risparmio di Torino su un campione rappresentativo della popolazione afferma che: «In generale su tutte le variabili esplorate si ribadisce la mancanza di protagonismo [femminile, ndr] nelle decisioni importanti relative all’ambito economico finanziario, che risente ancora di un modello tradizionale di subalternità e dipendenza».

Nonostante lo scenario descritto dall’indagine non sia entusiasmante si intravedono dei segnali di speranza: il segmento di mercato rappresentato da giovani donne di età compresa tra i 25 e i 44 anni vede un deciso miglioramento della propensione al risparmio e delle conoscenze finanziarie. Si prospetta quindi un futuro prossimo dove le nuove generazioni di donne raggiungono la piena emancipazione finanziaria e quindi diventano presenti attivamente nella gestione dei propri risparmi. Diventa fondamentale capire come questo fenomeno modificherà il wealth management e quali misure gli intermediari dovranno adottare per intercettare questo trend. Un servizio di consulenza orientato al pubblico femminile dovrà sicuramente considerare, nella definizione degli obiettivi d’investimento, un’aspettativa di vita più alta e una curva del salario molto diversa da quella maschile. Si stima che il picco retributivo per una donna laureata venga raggiunto a 40 anni rispetto a quello maschile che si manifesta intorno ai 55, mentre l’aspettativa di vita più alta impone una maggiore capacità di risparmio per ridurre al minimo il gap previdenziale.

Come ha riscontrato la ricerca di Bva Doxa, «Donne e finanza sostenibile», presentata in Senato, anche l’approccio al mondo degli investimenti presenta differenze tra i due sessi. In fase di valutazione degli investimenti le donne si affidano maggiormente alla propria banca mentre gli uomini hanno la propensione a ricercare le informazioni in maniera autonoma (via web e blog). Inoltre, le donne hanno tendenzialmente un’avversione al rischio maggiore di quella degli uomini e prediligono una maggiore stabilità a favore del raggiungimento dei propri obiettivi d’investimento. Infine, le risparmiatrici prestano maggiore attenzione alle tematiche ambientali e sociali e quindi vanno alla ricerca di investimenti con impatto sulla comunità.

Gli intermediari finanziari si devono quindi adattare per trovare risposte a una domanda di servizi d’investimento sempre più personalizzati e orientati al mondo femminile. Le nuove possibilità offerte dalla tecnologia (intelligenza artificiale), in parallelo alla gigantesca mole di dati a disposizione degli intermediari, permettono di creare una consulenza data-driven e un’offerta sempre più vicina agli investitori e, perché no, quindi alle investitrici che rappresentano una porzione crescente, ben definita e identificabile del mercato. Anche in questo caso si tratta di utilizzare i dati e le informazioni a disposizione per creare proposte che incentivino il pubblico femminile a investire e a far emergere il bisogno ancora in parte latente di una pianificazione finanziaria dedicata. Per sfruttare a pieno le opportunità di questo mercato, gli intermediari devono arricchire la propria offerta commerciale con prodotti e servizi di investimento che rispondono in maniera puntuale alle esigenze del pubblico femminile lavorando di pari passo su aspetti di marketing e comunicazione degli stessi. Per riuscire a elaborare efficacemente i dati e ottimizzare il cost-to serve al cliente diventa critico l’impiego della tecnologia per soddisfare, tra le altre, anche le esigenze di un pubblico femminile attraverso specifici algoritmi gestiti all’interno degli engine di robo advisory.

Immaginate una piattaforma per la consulenza finanziaria che abbia tra i suoi obiettivi d’investimento un reddito integrativo in caso di maternità, nel caso fosse stato palesato tale desiderio, o di coprire il gap pensionistico considerando la reale curva del salario femminile e la maggiore longevità. Soluzioni applicative che vedano tra le funzionalità un’analisi di portafoglio al femminile che permetta di calcolare la quota in posizione di investimenti socialmente responsabili con un focus sui temi di carattere ambientale, sociale ed etico. I first mover che sapranno cogliere l’opportunità derivante dalla chiusura del gender investing gap integrando queste nuove tecnologie di robo advisory, si distingueranno nel mercato dei servizi d’investimento e avranno il vantaggio di essersi creati una base di clientela destinata ad accumulare ricchezza crescente.

Articolo a cura di Gaia Roselli Cecconi, Davide De Fazio e Alberto Rastelli

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