Il mercato finanziario è tra i primi ad aver sperimentato il machine learning attraverso anche i Robo-Advisor, per potenziare l’attività di consulenza, ma con lo sviluppo della tecnologia ci si interroga: quante funzioni potranno essere gestite da una macchina che, sulla base di algoritmi, apprende dall’esperienza?
Sebbene oggi si parli di quarta rivoluzione industriale, l’intelligenza artificiale sembra averla già superata, con l’avvento di macchine che apprendono dall’esperienza sulla base di algoritmi. E, nel giro di dieci anni, con tutta probabilità l’uomo dovrà abituarsi a convivere con robot in grado di fornire soluzioni inarrivabili per il genere umano. Tutto questo avrà naturali implicazioni sul mercato del lavoro: in Italia si comincia ora a parlare di robo advisor in ambito finanziario, e delle conseguenze che il loro arrivo avrà sull’attività dei consulenti finanziari.
Se da un lato, infatti, il ramo della consulenza, in Italia, è ancora incentrato su un rapporto fiduciario tra professionista e cliente, che non può essere affidato a un robot (il Robot-advisor), dall’altro lato il settore dovrà evolversi in termini di riorganizzazione dell’attività. Ovvero, il tempo che oggi il consulente dedica all’elaborazione dei dati, potrà essere dedicato al cliente, con la macchina che avrà esclusivamente una funzione di supporto.
L’intervista a Mario Noera, Docente di finanza all’università Bocconi di Milano.
Qual è la situazione in Italia rispetto al diffondersi dell’intelligenza artificiale?
Siamo nel bel mezzo di una rivoluzione, con la tecnologia che rappresenta uno dei fattori che più sta cambiando paradigmi acquisiti. Nei prossimi anni, si può immaginare che ci saranno degli effetti pervasivi su molte professioni, con lo sviluppo tecnologico che porta inevitabilmente alla sostituibilità di molte capacità cognitive. Verranno toccati i lavoratori della conoscenza, come gli avvocati, i medici o i consulenti finanziari, con questa potenziale minaccia che è percepita anche nell’ambiente della finanza. Si è notato infatti uno sviluppo recente di applicazioni di fintech, prima su elementi che potevano non toccare il settore della consulenza, come l’home banking o la facilità di accesso ad alcuni servizi. Ora, in campo ci sono i cosiddetti robo-advisor, che cominciano a entrare nell’universo della consulenza finanziaria. Sono diverse le dinamiche interessanti in atto, che hanno avuto delle conseguenze importanti soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, dove le startup hanno indirizzato la loro attività verso uno spazio di mercato innovativo, con servizi anche di profilatura di clienti a bassissimo costo. In Gran Bretagna la nuova normativa che riguarda la struttura finanziaria è già entrata in vigore, mentre nel resto dell’Europa arriverà, sotto forma della MiFID, a gennaio 2018, con forti implicazioni sulla trasparenza del settore. I costi saranno infatti esplicitamente attribuiti al servizio di consulenza, così la clientela si è trovata di fronte a una attività prima percepita come gratuita e ora non più. La reazione può essere duplice: abbassare i costi o differenziare il servizio a seconda di quanto è remunerativo il cliente. In Gran Bretagna la tendenza è stata concentrarsi sulla clientela a più alto rendimento e così sono entrati in gioco i robo-advisor. In Italia, invece, il processo è più lento e probabilmente sarà meno vistoso, perché il settore della consulenza si basa su un rapporto fiduciario che lega i clienti ai consulenti in modo molto forte. Trovo difficile che questo tipo di rapporto venga incrinato dai robot-advisor. La trasparenza dei costi, però, imporrà anche agli intermediari e ai consulenti di arricchire i loro modelli di servizio, perché a fronte di un costo rilevante per il cliente dovrà esserci un incremento della qualità del servizio. Quindi, in Italia a mio avviso la tecnologia finirà per occupare uno spazio di supporto per i clienti e ciò che potrà essere riprodotto, con l’intelligenza artificiale, saranno gli investimenti sul mercato, ossia l’analisi dei mercati, con il robot che riproduce e apprende dall’esperienza fattuale.
Quindi secondo lei l’arrivo dell’intelligenza artificiale avrà effetti più sui gestori che sui consulenti finanziari?
Esattamente. L’area dell’asset management sarà quella dove l’impatto sarà più forte. È già in atto un processo rilevante di spostamento delle preferenze degli investitori su prodotti che riproducono i mercati o che li gestiscono in forma algoritmica, perché hanno costi molto più bassi dato che operano algoritmi e piattaforme quantitative. Dalla sua parte il consulente ha un’arma molto importante: può parlare degli obiettivi del cliente e gestirne la complessità.
Gli effetti saranno soprattutto sui millennial?
Non solo. In ballo ci sono anche i baby boomer nati negli anni Cinquanta. Si tratta della popolazione più numerosa e anche più ricca perché detiene l’80% del patrimonio finanziario. In questo senso, c’è anche un problema di successione e trasferimento del patrimonio, che richiede necessariamente l’intervento del consulente e non può essere automatizzato. In questi casi, infatti, l’approccio deve essere personalizzato e il rapporto fiduciario molto forte. Ritengo in sostanza che in Italia prevarrà il rapporto empatico con il cliente ma sta di fatto che la natura della professione di consulente deve evolvere.
Quindi se il consulente non potrà più lavorare se non coadiuvato da un robo-advisor, le società dovranno di conseguenza investire in tecnologia?
Negli Stati Uniti i grandi gruppi hanno generato un modello ibrido con la tecnologia al servizio del consulente. Oggi, il 25-30% del tempo che il consulente dedica alla propria attività è investito nell’elaborazione dei dati. Con l’avvento dei robo-advisor, questo tempo potrà essere risparmiato e dedicato al cliente.
Dal punto di vista dell’asset management, i fondi si evolveranno senza l’intervento del gestore?
Già diversi ne sono stati lanciati e questo segmento industriale si sta espandendo sempre più. Ora, gli asset manager attivi sono in grado di generare performance superiori rispetto ad altri gestori o strumenti.La progettazione del prodotto da parte dell’asset manager, però, è ricco di problematiche, con l’obiettivo che non è più quello di massimizzare le performance nei tre mesi successivi, ma di avere un rendimento medio costante ottimale per raggiungere l’obiettivo finale.