I robot che scrivono e dettano le regole

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I robot che scrivono e dettano le regole

Stiamo vivendo un momento di fortissima transizione e cambiamenti, con l’intelligenza artificiale e i robot che sono arrivati a un livello molto evoluto.

L’intervista a Carlo Alberto Carnevale Maffè, Docente di strategia alla Sda dell’Università Bocconi di Milano.

Stiamo vivendo un momento di fortissima transizione e cambiamenti, con l’intelligenza artificiale che è arrivata a un livello molto evoluto. Cosa ne pensa?
Abbiamo perso il monopolio dell’intelligenza. Negli ultimi anni il software è passato dalle ripetizioni a costo marginale nullo al meccanismo descrittivo: riconosce fenomeni e ricostruisce comportamenti tipici. Nel caso della capacità delle macchine di apprendere, passiamo invece dalla descrizione alla previsione. L’ultimo stadio è invece quello della prescrizione, con i robot che scrivono e impongono le regole. È il caso dell’auto a guida automatica, per esempio, ma ci sono applicazioni infinite. La più affascinante è certamente quella dei mercati finanziari, che stanno sperimentando questa evoluzione. Le macchine, ora, ci suggeriscono un meccanismo partendo dall’osservazione, che fa emergere comportamenti sistematici da cui estraiamo la conferma, mentre la teoria non è più il punto di partenza ma arriva alla fine. Questo cambiamento muta il rapporto che abbiamo con le macchine.

Qual è la differenza tra intelligenza artificiale e learning machine?
Il primo stadio è quello dell’apprendimento, ovvero la macchina non è intelligente ma impara. Poi, sulla base di un’enorme quantità di dati di analisi statistici, fa emergere comportamenti tipici che si chiamano pattern, connettendo causa ed effetto. Vale a dire che ogni volta che si genera il fenomeno A, la macchina trova il pattern B. L’intelligenza artificiale passa invece dal deep learning e arriva a scrivere le regole. È una grande sfida, basti pensare al riconoscimento vocale di alcuni modelli di cellulari, che non solo comprendono le parole che vengono dette, ma anche il contesto e la semantica e ricordano ciò che è stato detto. 

Ci sono studi avanzati, in Cina e Giappone, dove vengono create macchine simili agli esseri umani. Cosa ne pensa?
La Cina ha effettivamente scommesso molto sul fronte dell’innovazione. Il percorso intrapreso è quello dell’investimento associato alla capacità di elaborazione dei dati non più lineare ma quantica, che fornirà le tecnologie di base affinché l’investimento in intelligenza artificiale produca i suoi effetti in una serie di settori: dalla diagnostica medica, alla logistica, ai viaggi, all’insegnamento, alla selezione del personale. Si tratta, in sostanza, di tanti pezzi di lavoro sostituiti dalla robotica, con la gran parte dei robot che sono in realtà invisibili: puro pensiero che sa tradursi in azione. Quando queste azioni non saranno più sotto la responsabilità umana ma saranno prese in modo autonomo dall’algoritmo, allora ci troveremo in un territorio al momento sconosciuto.

Sono azioni che l’uomo non saprà più controllare?
Le macchine sono in grado di apprendere prima di noi e non possiamo prevederlo. È difficile anche controllarle ex post. Oggi stiamo cominciando a discutere di etica robotica, individuando una responsabilità civile e penale. Ormai abbiamo delegato alle macchine decisioni che hanno una rilevanza etica, e il tema nuovo è individuare chi controlla tutto questo. Stiamo scrivendo le regole, l’etica dei robot non è comunque una novità. Il tema è: come facciamo a controllare il comportamento dei robot?

Anche l’Europa si è posta questa domanda e ha chiesto ai Paesi di formulare un regolamento per il rapporto uomo-macchina.
L’intelligenza artificiale è un’istituzione, un comportamento infrastrutturale e dovremo imparare a conviverci e farlo diventare parte di un sistema di regole. La verità è che non dovremo mai smettere di studiare, dato che la sostituzione robotica comporta comunque sempre una riqualificazione del lavoro. Il tema della sostituzione però sta arrivando a una velocità che non ha precedenti: l’uomo deve essere più intelligente della macchina intelligente. Poi si polarizzeranno le attività umane tra quelle creative che restano appannaggio dell’uomo, quelle ripetitive che diventano mercati automatici e quelle così complesse che non avrebbe senso affidarle ai robot. Bisogna avere comunque la capacità di comprendere che l’automazione va in aiuto degli esseri umani.

Anche il mercato finanziario sta studiando per creare algoritmi?
Il mercato finanziario è tra i primi ad aver sperimentato il machine learning relativamente agli andamenti del mercato. Gli Etf, per esempio, sono micro robot semplificati. La grande sfida robotica è ora sul lato della domanda, quindi sul tema dell’investitore e del suo profilo di rischio. Il machine learning verrà quindi applicato ai nostri comportamenti. L’idea è che il consulente si farà affiancare da un robot che lo supporti e che studi l’analisi della domanda. Il punto di arrivo sarà che domanda e offerta diventeranno robotici e si metteranno d’accordo da sole. Già oggi ci sono casi di robot che convergono su un prezzo o su condizioni che non sono sempre quelle che pensavamo. I mercati algoritmici sfuggono quindi al controllo dell’essere umano.

Quindi il gruppo finanziario con l’algoritmo migliore avrà in mano il mercato?
Sì, ma solo fino a quando non ne arriverà uno migliore. Ci sarà sicuramente un ricambio generazionale dell’intelligenza artificiale. Già oggi Google, Facebook, Amazon utilizzano l’intelligenza artificiale ed è un segnale significativo che non si tratta più di un esercizio di laboratorio ma un driver di forte competizione. A ben vedere, noi deleghiamo a un algoritmo le nostre decisioni anche quando andiamo in vacanza: la scelta è infatti influenzata dai social media, dai motori di ricerca e così via. Così, i mercati algoritmici sono influenzati da software che oggi occupano una grande parte del Pil. Basti pensare a tutto l’e-commerce, alla finanza o alla medicina. È una corsa a chi è più bravo a dotarsi di intermediazione finanziaria e informativa e se non teniamo il passo della competenza resteremo passivi. L’intelligenza artificiale non è altro che un fenomeno di ulteriore specializzazione.

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