Digital transformation e wealth management

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digital transformation

Per anni il settore è rimasto quasi fermo e oggi il mercato italiano soffre di un gap strutturale d’innovazione sia in ambito tecnologico che di modelli di servizio. Per vincere la sfida, decisiva per il futuro delle istituzioni finanziarie, servono strategia, digital transformation, vision e know how digitiale

Articolo tratto dal numero di luglio/agosto 2019 di Asset Management.

Con l’avvento di internet, il mondo dei servizi finanziari è stato attraversato da processi innovativi epocali che ne hanno trasformato razionali e logiche. La tecnologia rappresenta sicuramente uno degli elementi cardine delle diverse fasi innovative e nel corso del tempo il suo utilizzo è andato crescendo in modo esponenziale. A causa del profondo cambiamento intervenuto nelle dinamiche proprie di questo settore si può osservare come la redditività delle banche nel corso degli ultimi anni sia in costante discesa.

A tale riguardo è sufficiente analizzare gli andamenti dei corsi di borsa delle principali banche negli ultimi 5 anni: Unicredit e Ubi hanno perso circa il 50% del loro valore, l’indice Msci Banks in Europa è sceso di quasi il 30%. Una delle poche banche sul mercato italiano che, nello stesso periodo considerato, si è mossa in controtendenza, con un guadagno del 30%, è Intesa Sanpaolo che, non a caso, risulta essere una tra quelle che più di altre hanno affrontato il tema della trasformazione digitale facendone il focus del proprio piano strategico. Il contesto è davvero molto complesso, la forte pressione sui margini deve essere necessariamente compensata da un recupero di efficienza nell’erogazione dei servizi ottenibile solo attraverso un massiccio utilizzo della tecnologia per la realizzazione di progetti a elevata scalabilità. Quello che oggi viene chiamata digital transformation è un processo di cambiamento inarrestabile che trasformerà le banche da classiche istituzioni a vere e proprie piattaforme tecnologiche che erogano servizi finanziari. Tale percorso, ormai ineluttabile, determinerà la definitiva scomparsa del modello tradizionale non più consono alle esigenze del settore.

Ma cosa si intende esattamente quando si parla di digital transformation? Ecco la definizione condivisa da Wikipedia: «La locuzione digital transformation indica un insieme di cambiamenti prevalentemente tecnologici, culturali, organizzativi, sociali, creativi e manageriali, associati con le applicazioni di tecnologia digitale, in tutti gli aspetti della società umana». È una definizione molto interessante, da cui si percepisce in modo netto la portata di tale processo di trasformazione che coinvolge necessariamente tutte le aree operative della banca e che richiede il commitment del management per mettere in atto tutti i meccanismi di controllo del processo e del relativo stato di avanzamento. Tale cambiamento deve essere accompagnato anche da processi di change management a tutti i livelli in quanto l’elemento culturale è una delle variabili più rilevanti ma anche tra le meno modificabili. Molto spesso, infatti, i processi di digital transformation, avviati ma non pienamente compresi e metabolizzati dal management, non trovano piena applicazione.

La difficoltà maggiore è dunque quella di trasformare anche il proprio modus operandi. I processi di digital transformation necessitano, inoltre, di una forte coesione tra le varie aree aziendali con l’obiettivo di minimizzare i rischi operativi di implementazione. Ma quali aree della banca oggi sono interessate da tale trasformazione? Come sempre le evoluzioni sono incrementali e partono dai servizi più utilizzati e semplici come, ad esempio, i pagamenti che sono oggetto di profonda trasformazione e disintermediazione dalla banca. I servizi banking più tipici, oggi quasi completamente erogati attraverso canali web e mobile, negli ultimi anni hanno subito una profonda trasformazione e hanno contestualmente registrato una forte riduzione dei prezzi. La normativa, inoltre, spingendo nella direzione della trasparenza e dell’apertura della base dati verso altre banche o altri attori fintech, segna di fatto il percorso obbligatorio della trasformazione digitale. Ma nel wealth management? In questo ambito i processi di digitalizzazione sono molto più recenti. Per anni il settore è rimasto quasi fermo e caratterizzato da una ridotta domanda di innovazione: in tale contesto anche la risposta degli incumbent tecnologici è stata molto scarsa.

Oggi il mercato italiano soffre di un gap strutturale di innovazione sia in ambito tecnologico che di modelli di servizio: per troppo tempo sul tema digital wealth management transformation siamo rimasti isolati e autarchici. Il modello tecnologico prevalente è di tipo monolitico, un unico front end legato al back end in un tutt’uno che rende molto complicato riuscire a evolvere nel tempo le applicazioni e anche integrare i servizi forniti da altre società. La digitalizzazione rappresenta uno strumento utilissimo per rendere più efficace e anche meno costo il processo di advisory (per tutti i segmenti di clientela) così complesso e normato. Una buona notizia per l’industria e anche per i clienti è sapere che sono ormai numerose le realtà che hanno esteso il processo di digital transformation anche al mondo del wealth management; di contro va anche segnalato che, se si analizza il modo in cui questo importante cambiamento viene affrontato, esiste un gap culturale e di know how considerevole da parte del management che è chiamato a guidare la trasformazione.

La tendenza è quella di considerare la digital transformation come una semplice attività di sviluppo di un nuovo front end digitale senza tener conto dell’assessment dell’esistente e soprattutto senza avere un modello chiaro a cui si vuole tendere. Le scelte degli strumenti tecnologici vengono effettuate come se questi ultimi fossero il fine della trasformazione e non soltanto il mezzo per ottenerla e questo anche in sede di assegnazione degli incarichi nelle gare di appalto, dove ai provider tecnologici inviati viene sottoposta una griglia con le caratteristiche tecniche e funzionali, ma in fase di selezione poi la scelta effettuata dagli uffici acquisti spesso si limita più a un’analisi delle mere componenti di costi che di tutto il resto. Un approccio questo concentrato sul breve periodo ma che è assolutamente funzionale al processo di cambiamento a cui dovrebbero tendere le istituzioni finanziarie. Prima di iniziare un percorso di trasformazione che possa dare i frutti sperati nel medio e lungo termine sarebbe necessario rispondere ai seguenti interrogativi: Dove vogliamo essere fra 10 anni? Che tipo di clienti vogliamo servire? Come si muove il nostro mercato nei paesi più avanzati? Quali trend tecnologici occorre intercettare? Con la trasformazione della banca in una piattaforma di servizi pensati per il cliente, le tecnologie e i dati diventano fattori determinati per il successo del business e nello stesso tempo per la sopravvivenza della banca stessa.

I numeri parlano chiaro, una banca “nuova” come N26 gestisce 3,5 milioni di clienti in oltre 20 mercati impiega circa 1.300 persone mentre una banca italiana “tradizionale” di medie dimensioni con 1,2 milioni di clienti impiega 6.700 persone. Questa è la potenza del digitale: una scalabilità incredibile che consente di ampliare ed estendere i propri servizi a fronte di incrementi di costi non rilevanti. Ma quali sono gli elementi cardine da considerare in un processo di digital wealth management transformation? Innanzi tutto serve una strategia di lungo periodo: il top management deve stabilire in quale ambito vuole posizionarsi all’interno del mercato in termini di clienti target, segmenti, posizionamento di immagine ecc. È una parte importantissima del processo in quanto definisce il perimetro e il percorso della trasformazione. Anni fa il top management di Bbva si pose come obiettivo quello di diventare la prima banca digitale al mondo e oggi si può effettivamente annoverarla tra le banche digitali più importanti. È una questione di focus e di investimenti oltre che di capacità nell’impostare un processo di change management a tutti i livelli in cui l’elemento culturale è fondamentale. Poi ci vuole la vision tecnologica: una strategia deve accompagnarsi con l’execution, la tecnologia infatti è un fattore molto importante dell’equazione, un vero e proprio alleato e non un nemico come invece oggi le banche vivono l’It, come fosse un ostacolo al business e non lo supportasse in modo opportuno.

Occorre rovesciare questa vision e impostare architetture a servizi capaci di integrare vari provider (interni ed esterni alla banca) e alimentare i front di nuova generazione; in questo modo si ottiene la flessibilità e l’agilità necessaria per seguire i repentini mutamenti delle strategie del business. Questo aspetto è determinante e non sempre viene compreso e preteso dai fornitori soprattutto da quelli che ancora offrono piattaforme monolitiche. I front che ora diventano il punto di accesso digitali a tutti i servizi, devono essere responsive e multi-segmento e devono anche potersi adattare al profilo dei vari utenti in termini di funzionalità e di complessità. Infine, il know how digitale: è ciò che viene definito il «saper parlare digital», ovvero essere in grado di gestire gli strumenti digitali in termini di comunicazione e anche di evoluzione costante degli strumenti della piattaforma. Questo è uno degli aspetti più sottovalutati: per fare un paragone metaforico, senza in necessario know how la banca rischierebbe di costruire una Ferrari ma di guidarla come fosse un’utilitaria. Tematiche quali la semplificazione dei messaggi, la creazione di contenuti multimediali immediati ed efficaci, la manutenzione ed evoluzione delle interfacce digitali per evitare l’obsolescenza stessa della piattaforma dovrebbero essere gestite da professionisti del settore che oggi purtroppo non sono così presenti nelle banche ma di cui sarebbe utile dotarsi per affrontare con successo i processi di trasformazione.

La digital transformation è dunque la vera sfida per il futuro delle banche e del wealth management: l’innovazione non sarà più un «nice to have» ma un elemento indispensabile per crescere e profondi cambiamenti si osserveranno anche in termini di geografia: la ricerca dell’efficienza spingerà le banche a fondersi tra loro e conseguentemente anche i loro fornitori dovranno strutturarsi opportunamente per poter supportare gli investimenti necessari per garantire la costante evoluzione tecnologica. In questo contesto cambiano anche gli attori, infatti si affacciano sul mercato le fintech ovvero un ibrido tra società di tecnologia e di business che forniranno servizi alle banche da integrare nelle piattaforme di wealth management in un’inedita collaborazione tesa alla massima soddisfazione del cliente con alta efficienza determinata dalla specializzazione. Si può concludere con una frase di Darwin relativa alla sopravvivenza delle specie ovvero: «Non sopravvive quella più forte o intelligente ma quella che si adatta meglio al cambiamento»; sembra perfetta per il momento storico in cui viviamo.

Articolo a cura di Pasquale Orlando

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